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Numeri 35, 30

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2007 18:41
10/02/2007 15:24
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Nelle questioni giudiziarie che riguardavano lo stabilire l’innocenza o la colpevolezza di una persona accusata, la giurisprudenza rabbinica e la Legge biblica prevedevano che l’accusa fosse sostenuta da almeno due testimoni. Qualora ci fosse stato un solo testimone ad accusare di reato una persona, tale testimonianza non sarebbe risultata sufficiente, pertanto non veniva accettata.

Ecco alcuni passi biblici, dove è specificata l’importanza della testimonianza legale, confermata da più persone. Nel libro biblico di Numeri (35,30) viene detto: “Se uno uccide un altro, l’omicida sarà messo a morte in seguito a deposizione di testimoni, ma un unico testimone non basterà per condannare a morte una persona”.

Deuteronomio (19,15) ribadisce: “Un solo testimonio non avrà valore contro alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato; qualunque peccato questi abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o di tre testimoni”.
E ancora: “Colui che dovrà morire sarà messo a morte sulla deposizione di due o di tre testimoni; non potrà essere messo a morte sulla disposizione di un solo testimonio”.

Durante la sua evangelizzazione, Gesù parlava a tutti delle verità per le quali il Padre lo aveva inviato, e grandi folle lo seguivano per udire da lui parole di vita eterna. Naturalmente, Cristo con la sua predicazione e il suo sconfinato amore, riuscì a cambiare il cuore di migliaia di persone, le quali udivano le sue parole e divenivano credenti. Questa popolarità che Cristo si fece, e il fatto che tutti parlavano di lui, indusse alcuni maestri della Legge a nutrire una forte antipatia per Gesù.

In un’occasione Gesù aveva appena finito di dire: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”, quando improvvisamente si avvicinarono a lui alcuni farisei, e gli dissero: “Tu fai da testimone nella tua causa, la tua testimonianza non è valida”.

Un commentario biblico, dice: «I farisei, che finora avevano agito assieme ai sommi sacerdoti, si confrontano ora direttamente con Gesù. Sono essi che si sono rifiutati di riconoscergli qualunque missione divina, non solo quella di Messia, ma perfino quella di profeta, considerandolo un impostore e avendo fatto il possibile per arrestarlo [Gv 7, 32 e 45]. La dichiarazione di Gesù li ha toccati nel vivo, e reagiscono immediatamente cercando di dequalificarla. Essi, i professionisti della Legge, non possono tollerare che Gesù si arroghi titoli che lo pongano al di sopra di essa. Obiettano che la sua dichiarazione non ha nessun avallo e pertanto non è ammissibile. Le attribuiscono un carattere polemico e si sentono attaccati, perché abbatte il sistema legale che essi difendono. Poiché nuoce ai loro interessi, pensano che Gesù, con la sua dichiarazione, apra una lite; questa si sarebbe dovuta dirimere in forma giudiziaria, e in tal caso la testimonianza di Gesù resa a se stesso sarebbe stata priva di valore giuridico (cfr. Dt 19, 15: una sola testimonianza non avrà valore contro alcuno) ».

Fu a quel punto che Gesù replicò loro, dicendo: “Anche se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera”.
Con questa dichiarazione Gesù non stava annullando la Legge, che considerava senza valore la testimonianza resa da un solo testimone. Egli riconosceva la necessità legale di comprovare la propria testimonianza con quella di altri, infatti egli stesso affermò: “se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera”.
Così, dimostrando la sua rigorosità nell’osservanza di ciò che era scritto nella Legge, Gesù si rivolse alle istituzioni giudaiche, e pur mantenendo da loro una certa distanza, perché lo giudicavano secondo un punto di vista carnale (Gv 8, 15), disse loro: “Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera”.
Con questa dichiarazione Gesù, non solo asseriva di conoscere la Legge, ma dimostrava tutta la sua volontà nel rispettarla. Infatti, ad un certo punto, per avvalorare la sua testimonianza, aggiunse: “Orbene, sono io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre, che mi ha mandato, mi dà testimonianza”.

Degno di nota che Gesù aveva appena confermato che la testimonianza vera è quella resa da almeno “due persone”. Ed egli ammise di ‘non essere solo’ (Gv 8, 16), a prova del fatto che Gesù e il Padre, oltre ad essere due persone diverse e distinte l’una dall’altra, non possono essere lo stesso Dio, coeguale, coeterno e consustanziale, altrimenti il valore della testimonianza risulterebbe nullo, perché non sarebbero più ‘due persone’, ma ‘una’ sola, ‘lo stesso Dio’.

A questo punto sarebbe curioso capire come mai Gesù non approfittò dell’occasione per parlare della ‘Trinità’, del suo essere uno con il Padre e con lo Spirito santo, visto che Deuteronomio 19, 15 prevedeva che la questione fosse stabilita per bocca di due testimoni, o ancora meglio “per bocca di tre testimoni”. La circostanza era tale da indurre Gesù a menzionare oltre alla sua testimonianza, quella del Padre e quella dello Spirito santo.
Come mai Gesù si limitò a portare d’innanzi alla corte giudaica solo la testimonianza resa da se stesso e quella resa dal Padre? Perché non avvalorò ulteriormente la testimonianza, aggiungendo quella dello Spirito santo?
La risposta è ovvia: Gesù sapeva bene che lo Spirito santo non è una ‘persona’.
In un’altra occasione Giovanni fece riferimento alla testimonianza dello Spirito, quando disse: “Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è verità”.
In tale occasione, il tipo di “testimonianza” a cui si riferì Giovanni, non fu la stessa testimonianza legale di cui si è parlato fin adesso, cioè la testimonianza di ‘due o tre persone’, richiesta dall’ordine giuridico per stabilire se un’accusa è vera o falsa.
Piuttosto, analizzando il contesto, e per l’esattezza i versetti immediatamente dopo (1 Gv 5, 7-[SM=g27989], si nota che lo Spirito santo viene menzionato insieme all’acqua e al sangue, infatti si legge: “Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi”.

L’acqua e il sangue non sono ‘persone’, e la testimonianza che rendono, non è quella solitamente resa dalle persone. Il fatto stesso che lo Spirito venga menzionato insieme a queste due cose, rende evidente che lo Spirito non è una persona.
La ‘testimonianza’ che questi rendono intorno al Cristo, è infatti “la testimonianza di Dio” (1 Gv 5, 9), quella che Dio stesso rese per mezzo di questi tre elementi: lo Spirito santo, la sua forza ed energia, quando, “appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui”. (Mt 3, 16); l’acqua, quando Gesù si fece battezzare da Giovanni nel Giordano (Mt 3, 13); e il sangue, quando Dio ha lasciato che il suo Figlio unigenito fosse immolato per i nostri peccati. (Gv 3, 16)

Così, la testimonianza legale descritta in Deuteronomio 19,15, richiesta contro l’accusa mossa nei confronti di Gesù, era sostenuta sia dalla testimonianza diretta data da Cristo stesso, con la sua predicazione e con il suo comportamento irreprensibile, ma anche dalla testimonianza resa da Dio, attraverso lo Spirito, l’acqua e il sangue, e attraverso la sua diretta voce, quando in più occasioni disse: “Questi è il Figlio mio prediletto”. (Mt 3, 17; Lc 9, 35)

La legge dei due testimoni, non era valida solo prima di Cristo, poiché viene ribadita anche nei vangeli e nelle lettere apostoliche, ad esempio: “Se il tuo fratello commette una colpa…se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni”, dice Gesù in Matteo 18,16, mentre l’apostolo Paolo confermò l’utilità di questa legge, quando esortò a “non accettare accuse contro un presbitero senza la deposizione di due o tre testimoni”. (1 Tm 5, 19)

La legge biblica relativa alla testimonianza resa da almeno due testimoni, attesta che il Padre e il Figlio sono necessariamente due persone distinte, non uguali, e che Gesù non è Dio fattosi Uomo, piuttosto egli ebbe bisogno della conferma e della testimonianza del suo Dio e Padre, per smentire l’accusa mossa contro di lui.
In tal modo Gesù fornì la prova legale che egli diceva la verità.

Emmaus@
10/02/2007 18:41
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Degno di nota che Gesù aveva appena confermato che la testimonianza vera è quella resa da almeno “due persone”. Ed egli ammise di ‘non essere solo’ (Gv 8, 16), a prova del fatto che Gesù e il Padre, oltre ad essere due persone diverse e distinte l’una dall’altra, non possono essere lo stesso Dio, coeguale, coeterno e consustanziale, altrimenti il valore della testimonianza risulterebbe nullo, perché non sarebbero più ‘due persone’, ma ‘una’ sola, ‘lo stesso Dio’.


Perdonami la franchezza, amico Emmaus, ma denoto in questa affermazione una logica molto carente; intanto che Gesù ed il Padre siano persone diverse e distinte non mi sembra una puntualizzazione necessaria, poiché nessuno lo nega; in secondo luogo dimostri, come purtroppo quasi tutti quelli che vogliono negare la Trinità , di non conoscerne neanche le fondamenta. Il dogma della Trinità infatti prevede una sola Natura o Sostanza, ma in tre persone uguali (appunto nella sostanza), ma distinte.

A questo punto sarebbe curioso capire come mai Gesù non approfittò dell’occasione per parlare della ‘Trinità’, del suo essere uno con il Padre e con lo Spirito santo,


anche qui mi sembra che tu stia facendo delle affermazioni con stupefacente superficialità: innanzitutto Gesù non è venuto per spiegare com'era fatto Dio, ma per operare la salvezza. Per una sempre migliore comprensione di Dio ci ha garantito proprio l'assistenza dello Spirito, che ci avrebbe guidato alla Verità tutta intera. In secondo luogo, hai appena finito di scrivere che i Farisei ritenevano Gesù un impostore, che non gli riconoscevano alcuna autorità neanche come profeta, men che meno come Messia, e Gesù avrebbe dovuto affermare che in realtà Egli era addirittura il Verbo di Dio che si è fatto carne? Ma per piacere, cerca di trovare qualche argomentazione un minimo più plausibile; tra l’altro molte volte Gesù ha chiaramente affermato di essere una cosa sola con il Padre, ad esempio Gv. 10, 27-30.

Come mai Gesù si limitò a portare d’innanzi alla corte giudaica solo la testimonianza resa da se stesso e quella resa dal Padre? Perché non avvalorò ulteriormente la testimonianza, aggiungendo quella dello Spirito santo?


Gesù non era dinanzi ad una “corte giudaica”, ma stava insegnando nel Tempio, e fa riferimento alla legge che prevede che la testimonianza sia valida quando è fatta da due persone. “Nella vostra legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. (Gv.8,17), perciò la “sola” testimonianza del Padre è più che sufficiente. Ma tu dimentichi che Gesù non parla per far comprendere i Farisei, perché sa benissimo che non capiranno, parla per le pecore del suo ovile. Infatti dice anche:”Voi non conoscete né me, né il Padre. Se conosceste me conoscereste anche il Padre”.
Ed anche questa risposta, per chi vuole capire, è molto significativa del tipo di unità che esiste tra queste due Persone. Dimentichi anche che nel prosieguo dello stesso episodio, Gesù per ben due volte afferma “Io Sono”.

Piuttosto, analizzando il contesto, e per l’esattezza i versetti immediatamente dopo (1 Gv 5, 7-[SM=g27989], si nota che lo Spirito santo viene menzionato insieme all’acqua e al sangue, infatti si legge: “Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi”.
L’acqua e il sangue non sono ‘persone’, e la testimonianza che rendono, non è quella solitamente resa dalle persone. Il fatto stesso che lo Spirito venga menzionato insieme a queste due cose, rende evidente che lo Spirito non è una persona.


Una esegesi piuttosto discutibile: nessuna “cosa” rende testimonianza, il rendere testimonianza è una azione e può essere attribuita solo a chi ha una volontà. Perciò io suggerirei di invertire totalmente la lettura di questo passo, ed invece di attribuire allo Spirito la retrocessione a “cosa” consiglierei di rivalutare l’acqua ed il sangue, che non sono delle “cose”, ma delle rappresentazioni. A questo proposito ti consiglierei di leggere Gv. 3,5 e seguenti e Gv. 4, 1 e seguenti.
Sandro

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