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Il sacramento della penitenza insegnato dalla Chiesa Cattolica,(confessione segreta all’orecchio di un sacerdote), è scritturale?

Ultimo Aggiornamento: 14/08/2008 12:39
18/02/2008 17:17
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Confessione 1
Nozione di Confessione
1 - Per Confessione, nel linguaggio cattolico, si intende comunemente l'accusa dei propri peccati fatta al sacerdote per averne l'assoluzione, cioè il perdono da parte di Dio. In modo più appropriato è detta Sacramento della Penitenza. La confessione, strettamente parlando, è solo parte o componente del Sacramento della Penitenza, è cioè la manifestazione o accusa dei propri peccati al confessore.
Nel Sacramento della Penitenza bisogna valorizzare anche la dimensione della Riconciliazione, che ne è un effetto o conseguenza nel senso che “quelli che si accostano al Sacramento della Penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la preghiera”.
Anche per questo il sacramento' della confessione si può chiamare pure Sacramento della Riconciliazione.
Dalla Confessione sacramentale o Sacramento della Penitenza va distinta la confessione della fede. Questa consiste nella professione o dichiarazione pubblica della propria fede, cioè nella manifestazione pubblica di ciò che uno crede. E’ bene tener presente questa distinzione per evitare confusioni ed equivoci, cosa che piace ai testimoni di Geova (tdG).
2 - Qui noi trattiamo soprattutto, se non unicamente, della Confessione sacramentale o Sacramento della Penitenza. E prima di ogni altra cosa vogliamo accertarci se il sacerdote cattolico ha il potere di rimettere i peccati davanti a Dio.
E’ chiaro che noi cerchiamo la risposta nella Bibbia, cioè nella Parola di Dio. Ma aggiungiamo subito che qui per Bibbia intendiamo soprattutto l'insegnamento di Gesù, il Figlio di Dio, che è Sapienza e Potenza divina (cf. Giovanni 1, 1.14-18; 1 Corinzi 1, 24). Dice infatti la Bibbia:
“Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebrei 1, 1-2).

PARTE PRIMA
GIUSTIFICAZIONE BIBLICA
Un testo biblico significativo
A quanto diremo in questa prima parte può servire d'introduzione un testo biblico molto significativo. E’ il racconto della guarigione miracolosa del paralitico. Lo riportiamo dal vangelo di Matteo.
“Ed ecco, gli (a Gesù) portarono un paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati". Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: " Costui bestemmia". Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: "Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa dunque è più facile, dire: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati: Alzati, disse allora al paralitico, prendi il tuo letto e va' a casa tua". Ed egli si alzò e andò a casa sua. A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato tale potere agli, uomini” (Matteo 9, 218; cf. Marco 2, 1-12; Luca 5, 17-26).
Osservazioni:
Una Bibbia interconfessionale, opera comune di cattolici, ortodossi e protestanti, fa notare che la conclusione del testo di Matteo qui riportato è sorprendente. Abbiamo il plurale invece del singolare: resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini”. Poi spiega:
Questa sorprendente conclusione (agli uomini anziché a un uomo) richiama forse l'ambiente ecclesiale in cui Matteo è stato composto: il potere di rimettere i peccati (nella Chiesa) viene in questo modo collegato alla stessa autorità di Gesù” (cf. Matteo 16, 19; 18, 18).
In altre parole, il modo di esprimersi di Matteo vuol fare intendere che nelle comunità o chiese dei primissimi tempi del Cristianesimo c'era la convinzione, accompagnata dalla prassi, che degli uomini potevano rimettere i peccati perché Dio aveva dato loro questo potere.
Un altro biblista commenta:
“In Matteo, che sembra aver trasportato la scena del paralitico in seno ad un'assemblea della comunità cristiana, la "folla", che glorifica Dio, ha ceduto il posto alla folla dei fedeli che sperimentano in sé il beneficio della remissione dei peccati quale, frutto dello stesso potere dato da Dio "agli uomini", cioè ai continuatori dell'opera salvifica di Gesù, messa in risalto in modo del tutto particolare anche da Matteo, col conferimento a Pietro e gli Apostoli dello stesso potere divino di sciogliere e legare "sulla terra" (cf. Matteo 16, 19; 18, 18, infra), cioè "di rimettere" agli uomini i loro peccati o "di ritenerli"” (cf. Giovanni 20, 23).
E un altro osserva:
“Matteo (9, 8) dice che la folla "rese gloria a Dio che aveva dato agli uomini un tale potere". Questa formula sembra sia stata aggiunta da Matteo (infatti manca sia in Marco 2, 12 sia in Luca 5, 26) con l'evidente preoccupazione ecclesiale di rimarcare elle Gesù aveva concesso il suo potere di perdonare alla comunità ecclesiale, la quale è invitata dall'evangelista a lodare Dio per averle concesso un tale dono. Di questa concessione parlerà lo stesso Matteo un po' più avanti nei capitoli 16 e 18”.
Quando dunque Matteo scrisse il suo vangelo, mise cioè per iscritto gli insegnamenti di Gesù tra- smessi dagli Apostoli, verso l'anno 70 d.C., vi erano degli uomini nelle comunità cristiane, che rimettevano i peccati e i fedeli lodavano Dio per aver concesso questo dono alla sua Chiesa.
Significato di "legare" e "sciogliere"
Prendiamo ora in esame i due testi di Matteo, ai quali rimandano gli studiosi citati: Matteo 16, 19 e 18, 18.
In Matteo 16, 19 Gesù dice a Pietro (Kefa): “Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.
In Matteo 18, 18 è ancora Gesù che parla ed usa un identico linguaggio:
“In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo”.
La prima cosa da precisare è il significato di legare e sciogliere.
1 - Nel Nuovo Testamento il verbo legare (greco dèo) può avere un significato materiale oppure traslato.
Nel senso materiale significa incatenare o fermare qualcuno o qualcosa. In Matteo 22, 13 il re ordina di legare mani e piedi al commensale, che non ha l'abito nuziale. In Marco 5, 3-4 l'uomo posseduto dallo spirito immondo è legato con ceppi e catene.
In senso traslato lo stesso verbo può indicare un vincolo o legame morale, giuridico, disciplinare e simili. Indica, per esempio, il vincolo che lega gli sposi (cf. Romani 7, 2; 1 Corinzi 7, 27; ecc.). Ed anche in senso traslato "legare" è detto di satana che lega (Cf .Luca 13, 16) o è legato (Cf. Apocalisse 20, 2).
In modo analogo il verbo "sciogliere" (greco luo) è usato nel N.T. in senso materiale e in senso traslato. Nel primo significato vuol dire liberare qualcuno o qualcosa da un legame materiale, ad esempio da una corda, da una catena e simili (Cf. Matteo 1, 2; Marco 11, 2-4; Luca 13, 15; Atti 22,30).
In senso traslato indica l'opposto di legare come, per esempio, liberare dal vincolo matrimoniale (Cf. 1 (corinzi 7, 27), da satana (Cf. Luca 13, 16).
2 - In Matteo 16, 19 e 18, 18 i due verbi non possono avere un significato materiale. Nell'uno e nell'altro testo Gesù parla dei legami che devono, regolare la vita dei suoi discepoli sia in rapporto a Dio sia tra di loro, in quanto membri d'una comunità di fede, che è la Chiesa (cf. Matteo 16, 18; 18, 17).
Tali legami non possono essere che di ordine spirituale o morale o anche magisteriale, giuridico, disciplinare.
Per precisare ora quale o quali di questi significati hanno i verbi legare e sciogliere bisogna tener presente che presso gli Ebrei con tali parole era indicato il potere o autorità riconosciuta ai rabbini o maestri della Legge di dichiarare proibito (= legare) oppure lecito (= sciogliere) un comportamento religioso, morale o disciplinare ". I verbi quindi legare e sciogliere hanno primariamente un significato magisteriale, indicano cioè l'autorità d'insegnare una dottrina oppure condannarla.
Tuttavia come conseguenza pratica o disciplinare, il legare o sciogliere indicava pure il potere di dichiarare esclusi dalla comunità i disubbidienti o colpevoli (= legare), oppure di riammetterli nuovamente in essa se avessero ritrattato il loro errore sciogliere).
3 - Tenendo presenti queste spiegazioni, come pure il contesto di Matteo 16, 19 e 18, 18, cerchiamo di cogliere il vero significato di legare e sciogliere nei due testi che stiamo analizzando. Cominciamo da Matteo 18, 18.
Gesù dà alcuni precetti o norme da tenere riguardo al fratello che “commette una colpa” (Matteo 18, 15). E’ un cammino da fare, una via da seguire. Anzitutto il fratello colpevole o peccatore deve essere corretto in privato (cf. Matteo 18, 15). Se questo primo passo o tentativo fallisce, bisogna che “ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni” (Matteo 18, 16). E se anche questo secondo passo risulta infruttuoso, il peccatore deve essere deferito alla comunità (Ekklesìa) (cf. Matteo 18, 17). E se non ascoltasse neppure la Ekklesìa, va considerato come un escluso dalla comunità e dai rapporti con gli altri: come un pagano o pubblicano, come un pubblico peccatore (cf. Matteo 18, 17). E' implicito che qualora il fratello colpevole desse prova di ravvedimento, sarà riammesso nella piena comunione con gli altri.
Non si tratta solo di dichiarare vera o falsa una dottrina, ma di prendere una decisione, emettere un giudizio sul comportamento morale di un membro della comunità: escluderlo dalla o riammetterlo nella comunità dei salvati. Certo alla base di questo giudizio c'è una scelta o convinzione o insegnamento dottrinale. Ma qui siamo in presenza di qualcosa di più: dell'esercizio di un potere salvifico nei riguardi di chi dà segni di pentimento. Dio dà la salvezza a chi si pente del suo peccato e la dà mediante il ministero o servizio di altri membri della stessa comunità, cioè di uomini. Le parole: “sarà sciolto anche in cielo (Matteo 18, 18b) fanno pensare a un effetto al di là del visibile o terreno.
4 - Alquanto diverso è il contesto di Matteo 16, 19. Qui non si parla direttamente di escludere o riammettere un peccatore nella comunità dei salvati. Le parole legare e sciogliere sono rivolte, a Pietro (Kefa), che ha professato la sua fede in Gesù, il Cristo “il Figlio del Dio vivente” (Matteo 16, 16). In virtù di questa sua testimonianza Pietro (Kefa) è costituito fondamento (pietra o roccia) visibile della Ekklesìa, ossia dell'intera comunità dei discepoli di Cristo. Ora ciò che lega alla Ekklesìa o esclude da essa (scioglie) è in primo luogo la sana dottrina, il riconoscere o meno in Gesù il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Pietro, che ha fatto questa professione di fede, è costituito garante sulla terra della stessa fede. La sua testimonianza e insegnamento è norma di appartenenza o meno alla vera Chiesa di Cristo ". Il potere qui indicato è soprattutto un potere magistrale.
Tuttavia non va escluso quello salvifico-penitenziale. Pietro infatti, quale garante della vera fede in Cristo, può e deve decidere anche sul comportamento morale dei membri della comunità ecclesiale. A lui quindi spetta pure il potere di ammettere o escludere da tale comunità in base all'accettazione o al rifiuto dell'autentica norma di vita morale di quanti si professano e vogliono essere veri discepoli di Cristo.
A chi il potere di "legare" e "sciogliere"?
E' l'altro interrogativo che pongono i testi di Matteo 16, 19 e 18, 18 e a cui bisogna dare una risposta mediante l'analisi accurata degli stessi testi.
a) Per Matteo 16, 19 la risposta non crea problemi perché è chiara e sicura. Le parole “legare e sciogliere” sono rivolte a Pietro: “A te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che (tu) legherai... e tutto ciò che (tu) scioglierai” (Matteo 16, 18). A principio del verso Gesù dice “E io ti dico”. A Pietro (Kefa) dunque Gesù conferisce il potere magisteriale e indirettamente quello salvifico-penitenziale. Non vi può essere dubbio a questo riguardo.
b) Non così chiaro appare chi sia il soggetto del potere di legare e sciogliere, di cui in Matteo 18, 18. A prima vista sembrerebbe che il soggetto di tale potere sia qualunque membro della comunità: “Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello” (Matteo 18, 15).
Tuttavia va notato che l'effetto dell'ammonizione solo a solo è quello di “guadagnare il fratello”, cioè adoperarsi che egli si ravveda e non lasci la comunità né venga escluso ". Qui non c'entra nessun esercizio di potere, di legare o di sciogliere. E’ un approccio, un tentativo privato, personale, fraterno.
c) Lo stesso significato può essere attribuito al secondo tentativo, che è di risolvere la questione. Sulla parola o davanti a due testimoni (Matteo 18, 16). Il tentativo è ancora privato, anche se con la partecipazione di più persone, ed ha pure lo scopo di indurre il peccatore a un ripensamento prima di. ricorrere alla Ekklesìa. Solo a questa spetta la decisione finale. “E se non ascolterà neanche l'assemblea (Ekklesìa), sia per te come un pagano e un pubblicano - (Matteo 18, 17). Come per dire: tu non sei più responsabile. Spetta ai responsabili della comunità (Ekklesìa) risolvere il caso in modo definitivo.
A questo punto sono inserite le parole: “In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche nei cieli e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo” (Matteo 18, 18). Sono come il punto di arrivo di un cammino, che si conclude con una dichiarazione autorevole e ufficiale circa la riammissione nella o la esclusione dalla comunità dei salvati del fratello peccatore.
d) In questo contesto è logico, anzi d'obbligo, pensare che Gesù avesse in mente la Ekklesìa, cioè la comunità dei suoi discepoli, che gode di una struttura voluta da lui stesso. In questa comunità vi sono delle guide o ministri qualificati, posti dallo Spirito Santo “a pascere la Chiesa di Dio” (Atti 20, 28). Le parole di Gesù: “tutto quello che legherete ecc.”, contengono un chiaro riferimento ai pastori della Ekklesìa, al quali spetta il potere decisionale nei riguardi del fratello peccatore. Quelle parole non sono dirette alla massa indeterminata - a tutti e a nessuno - ma a coloro che, certo col contributo della comunità, hanno il dovere e il potere di legare e di sciogliere, riammettere o escludere i peccatori dalla comunità ecclesiale.
e) Gli studiosi della Bibbia concordano nell'affermare che le parole di Gesù in Matteo 18, 18 sono parallele a quelle che il Risorto dirà ai Dodici, nella sua apparizione la sera di quello stesso giorno, in cui risuscitò da morte (cf. infra, p. 16). A loro avviso, Matteo 18, 18 presenta la vita della comunità ecclesiale dopo la Pentecoste e appare chiaro che fin d'allora le guide costituite dal divin Fondatore della Chiesa vigilavano sul comportamento dei membri della comunità ed esercitavano il potere di legare e di sciogliere.
Concludendo possiamo dire o ripetere che al fratello peccatore era ed è, offerto nella Chiesa un cammino penitenziale. Anzitutto egli deve essere corretto in privato (cf. Matteo 18, 15); poi alla presenza di testimoni (cf. Matteo 18, 16), affinché si ravveda. Ma il giudizio definitivo e salvifico spetta alla comunità strutturata, dove le guide poste dallo Spirito Santo diranno la parola autorevole, valida davanti alla comunità e davanti a Dio, “sopra la terra e in cielo”. A queste guide Dio ha affidato il potere di legare e di sciogliere.
La consegna del Risorto (Giovanni 20, 21-23)
Nel vangelo di Giovanni il conferimento del potere di rimettere i peccati è collegato con l'apparizione del Risorto agli Apostoli la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, che oggi è la domenica di Pasqua. Racconta Giovanni:
“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Detto questo, mostrò loro le mani ed il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a: voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi!". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Giovanni 20, 19-23).
Spiegazione:
a) Al numero ristretto dei Dodici e senza dubbio a quanti nel tempo prima della fine avrebbero continuato il loro specifico ministero (ai loro successori) il Risorto affida una missione che continua quella che Egli ha ricevuto dal Padre: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Giovanni 20, 21). Gli Apostoli, in qualità di mandati (apostolo vuol dire mandato) devono raccogliere i frutti della redenzione operata dal Figlio di Dio. Egli è venuto a redimere dal peccato, a salvare tutti (cf. Giovanni 12, 32), non a condannare (cf. Giovanni 3, 17).
La missione affidata agli Apostoli è un dono dello Spirito Santo: “Ricevete lo Spirito Santo” (Giovanni 20, 22). Certo, i doni dello Spirito Santo sono dati a tutti i discepoli di Cristo (cf. Atti 2, 4.17-21; 10, 44). Ma vi è diversità di doni o carismi, benché uno sia lo Spirito che li dà (cf. I Corinzi 12, 4-11). Tra questi doni vi è quello del governo (cf. Corinzi 12, 28; Atti 20, 28) ossia di guidare la comunità dei fedeli lungo la via della salvezza come maestri e giudici (cf. 1 Corinzi 5, 4). Nel caso presente il dono dello Spirito Santo è la sua virtù o potenza salvifica, che abilita gli Apostoli (e i loro successori) a rimettere, cioè a perdonare i peccati davanti a Dio.
b) Per un'esatta comprensione del dono dello Spirito Santo, di cui in Giovanni 20, 21-23, bisogna ,precisare il significato delle parole rimettere e ritenere, come è stato fatto per legare e sciogliere. Questa precisazione è necessaria perché alcuni non cattolici sono del parere che il Risorto, in quella apparizione, abbia conferito il mandato di predicare il Vangelo e di battezzare, senza riferimento al perdono dei peccati commessi dopo il battesimo. Vedremo che non è così .
Circa il significato di rimettere (greco a-fiemi) va notato che in non pochi testi biblici del Nuovo Testamento questo verbo indica la remissione o perdono dei peccati personali senza riferimento al battesimo. Così, per esempio, in Matteo 9, 2-6 le parole di Gesù: “ti sono rimessi i peccati” (greco a-lientai sou ai amartiai) sono intese dagli scribi e farisei come l'esercizio (o usurpazione) di un potere proprio di Dio, cioè, cancellare i peccati personali o attuali. Gesù non corregge questa interpretazione. Lo stesso linguaggio in Marco 2, 8 e Luca 5, 21-26. Dicendo “ti sono rimessi i peccati” o “le sono perdonati i suoi peccati” (Luca 7, 47) Gesù intende perdonare i peccati personali del paralitico e della donna adultera indipendentemente di qualsiasi battesimo.
Il dono dunque o carisma concesso agli Apostoli dal Risorto comporta il potere o autorità di perdonare i peccati senza riferimento al rito battesimale. Questo potere deve essere esercitato in seno alla comunità dei battezzati come risulta da Matteo 18, 18, a favore del fratello, cioè di un battezzato caduto in peccato (cf. 1 Corinzi 5, 4). La conclusione è che con la parola "rimettere" è detto chiaramente che il Risorto ha dato agli Apostoli, cioè alle guide della sua comunità di ogni tempo, il potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo.
c) Alla stessa conclusione fa arrivare l'analisi del verbo ritenere (greco kratèo). Etimologicamente kratèo (= ritenere) vuol dire “esercitare un potere” oppure “obbligare a fare qualcosa (come il legare in Matteo 18, 18). Un esempio si ha in Marco 12, 12. Le autorità religiose di Gerusalemme vogliono "catturare" (kratèsai) Gesù, cioè esercitare su di lui la loro autorità. Gesù apparteneva alla loro comunità religiosa, era giuridicamente un loro suddito.
Alla luce di questa precisazione, in Giovanni 20, 23 ritenere (kratèo) non significa semplicemente “non rimettere” i peccati, o “non assolvere”, ma anche esercitare un potere sul peccatore non ancora pentito, e che quindi non si trova nelle disposizioni adatte per essere perdonato. In questo caso l'esercizio del potere serve a spingerlo a fare qualcosa che lo renda degno dell'assoluzione.
A questo livello, quindi, ritenere equivale a "vincolare", "legare" il peccatore, "obbligarlo" ad adempiere certe condizioni che lo portino alla conversione e al perdono. Non si tratta quindi di “non voler perdonare”, dal momento che il Signore vuole salvare tutti e invita a perdonare “settanta volte sette” (Matteo 18, 22), cioè sempre. Ma si rinvia il perdono fino a quando il fratello non riconosce di aver sbagliato, si pente, ed è pronto a cambiare vita. Se non fa nessuna di queste cose, i suoi peccati vengono "ritenuti", cioè non vengono perdonati.
Tutto questo indica che gli Apostoli, cioè le guide della comunità cristiana, possono esercitare un'autorità, hanno cioè un certo potere sul fratello che ha peccato. Questi è un membro della comunità dei santi ricaduto in peccato. Ciò non sarebbe possibile se si trattasse di uno non ancora battezzato, ossia non ancora incorporato alla Ekklesìa.Su i non battezzati le guide della Chiesa non hanno alcun potere (cf. 1 Corinzi 5, 12), non possono imporre obblighi come a coloro che, col battesimo, hanno accettato una determinata forma di vita.
A chi il potere di "rimettere" o "ritenere"?
1 - Dal contesto di Giovanni 20, 19-23 appare ,abbastanza chiaro che i "discepoli", ai quali il Risorto affida il potere di rimettere o ritenere i peccati, sono il numero limitato e qualificato dei Dodici ". Infatti nella apparizione successiva, in circostanze analoghe, Giovanni richiama la precedente apparizione e dice: “Tommaso, uno dei Dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore” (Giovanni 20, 24-25).
A stretto rigor di termini, Giovanni avrebbe dovuto dire: “Tommaso, uno degli Undici”, perché Giuda, il traditore, non era certamente con loro. Dicendo “uno dei Dodici”, fa chiaramente capire che la precedente apparizione col mandato di rimettere i peccati era stata fatta al gruppo qualificato degli Apostoli, detto comunemente “I Dodici”.
D'altra parte, se il mandato fosse stato conferito a tutti indistintamente i seguaci di Gesù, Giovanni avrebbe dovuto dire: “Tommaso, uno dei discepoli”, e non già “uno dei Dodici”. Inoltre, quando precisa: “gli dissero allora gli altri discepoli”, è implicito che Tommaso fosse uno del gruppo ristretto, ai quali era apparso il Risorto. Gli altri qui non suppone tutti gli altri, ma il gruppo qualificato di cui faceva parte Tommaso. Ecco ciò che scrive Giovanni:
“Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù.Gli dissero allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore! "” (Giovanni 20, 24-25).
2 - Ancora. Sembra del tutto inverosimile che tutti i discepoli fossero in quel luogo a porte chiuse, dove apparve il Risorto (cf. Giovanni 20, 19). L'autore degli Atti degli Apostoli, riferendosi agli avvenimenti di quei giorni, c'informa che tutti i discepoli, uomini e donne, erano circa 120 (cf. Atti 1, 15), ed erano tutti a Gerusalemme. Considerando come erano le abitazioni al tempo di Gesù, non sembra possibile che 120 persone fossero riunite “a piano superiore” (cf. Atti 1, 13) e stessero lì fino a tarda sera, ora in cui Gesù apparve ai "discepoli", assente Tommaso (cf. Giovanni 20, 19).
Sempre con riferimento ai quei giorni e a quei fatti Luca precisa che “al piano superiore” c'erano solo undici persone, e cioè gli Apostoli, di cui dà i nomi (cf Atti 1, 13).Non vi può essere dubbio che si tratta dello stesso luogo dove il Risorto era apparso “ai discepoli”, la sera del giorno dopo il sabato, cioè del giorno della Risurrezione. Era certamente quella stessa sala messa a disposizione da un amico del Maestro per celebrare la Cena pasquale coi suoi discepoli, cioè coi Dodici (cf. Luca 22, 12), e per alloggiarvi durante la loro permanenza a Gerusalemme. Sala spaziosa quanto si voglia, ma sempre inadeguata per una folla di 120 persone.
3 - Ancora più inverosimile è che in quella sala, al piano superiore, vi fossero donne e per di più fino a tarda sera a porte chiuse. Non ve ne erano state durante la Cena pasquale (cf. Luca 22, 10-11) e non ve ne furono certamente nei giorni che seguirono.
Non vi era neppure Maria, la Madre di Gesù, perché la stessa sera del venerdì, che noi ora diciamo santo, dopo che Gesù dalla croce l'affidò a Giovanni, questi precisa: “Da quel momento il discepolo la prese a casa sua” (Giovanni 19, 27). Non si può escludere che Giovanni avesse a Gerusalemme delle conoscenze (cf. Giovanni 18, 15-16), dove poteva alloggiare come a casa sua quando si recava a Gerusalemme, specie in occasione della Pasqua ebraica.
4 - Per quanto riguarda le altre donne, tutti e quattro gli evangelisti sono pienamente d'accordo nel riferire che i loro movimenti, agitati e frettolosi, ebbero luogo durante le ore antimeridiane. La sera le donne non compaiono sulla scena. all'ora della preghiera. Voler dedurre da questi testi che anche le donne abbiano avuto il potere di rimettere i peccati è semplicemente ridicolo ".
Il racconto di Luca
1 - Per sostenere il loro punto di vista che Gesù avrebbe dato il potere di rimettere i peccati a tutti i suoi discepoli, donne comprese, alcuni sfruttano il racconto di Luca e precisamente Luca 24, 33-36. Luca racconta come i due discepoli di Emmaus, dopo che riconobbero il Risorto, partirono precipitosamente e fecero ritorno a Gerusalemme dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro. “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: "Pace a voi" (Luca 24, 36)”. A loro avviso, Luca qui riferisce l'apparizione, di cui in Giovanni 20, 19-23, e poiché erano presenti altri discepoli, oltre agli Undici, il conferimento del potere di rimettere i peccati sarebbe stato dato anche ad altri I. Dov'è la verità?
2 - Bisogna notare prima di tutto che Luca, nel racconto o racconti delle apparizioni del Risorto, fa solo un cenno implicito al conferimento del potere di rimettere i peccati. A leggere la Bibbia superficialmente la logica conseguenza sarebbe che Gesù non conferì a nessuno tale potere. Ma non è così. A parere dei biblisti, Luca ha una sua presentazione di alcune apparizioni del Risorto, avente come scopo di far sapere ai lettori che Gesù ha dato segni concreti e convincenti della sua risurrezione tanto da trionfare sulla incredulità dei discepoli, dei Dodici in particolare".
Questo appare chiaramente nel racconto dei due discepoli dubbiosi “in cammino per un villaggio distante circa sette 'miglia da Gerusalemme” (Luca 24, 13) Il Risorto trionfa sulla loro incredulità:
“Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista... E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono gli Undici, e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone"” (Luca 24, 31.33-34).
Identica finalità nel racconto che segue:
“Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma... Gesù mostrò loro le mani e i piedi... Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro” (Luca 24, 40-43).
3 – E’ evidente che lo scopo di Luca nel riportare i racconti delle apparizioni del Risorto è quello di dimostrare come Gesù trionfa sulla incredulità de- gli Undici dando loro i segni della realtà della sua risurrezione.
Stando cosi le cose, il racconto di Luca non autorizza affatto a dire che il potere di rimettere i Peccati o di ritenerli sia stato conferito a tutti i discepoli indistintamente.
Una conferma
Sia Marco (16, 14) sia Paolo (1 Corinzi 15, 5) accennano a un'importante apparizione agli Undici. Paolo dice di averla appresa dalla tradizione, cioè dalla viva voce dei testimoni oculari, e la considera una prova convincente della sua fede. E’ dunque fuor di dubbio che l'apparizione ai Dodici occupava un posto di primaria importanza nella predicazione degli Apostoli.
Ora di questa apparizione ne parla solo Giovanni in modo chiaro ed esplicito, connettendola col conferimento del potere di rimettere i peccati (cf. Giovanni 20, 19-23). Ciò che racconta Giovanni riguarda solo il gruppo dei Dodici, e non tutti i discepoli indistintamente. Infatti proprio perché “Tommaso, uno dei Dodici” non era presente, Gesù appare di nuovo otto giorni dopo, cosi che tutti gli appartenenti al gruppo dei Dodici possono essere testimoni della Risurrezione e avere il potere dal Risorto.
Non bisogna dimenticare che Giovanni scrisse parecchi anni dopo Marco, Luca e Paolo. Col suo racconto particolareggiato dell'apparizione ai Dodici la sera del giorno della Risurrezione e il conferimento del potere di rimettere i peccati ha voluto forse chiarire qualche dubbio specie sul racconto di Luca ed esplicitare ciò che Marco e Paolo avevano detto succintamente.
In sintesi
1 - I testi biblici più significativi comprovanti il conferimento del potere di rimettere o ritenere i peccati dato dal Signore Gesù alla sua Chiesa si trovano in Matteo 16, 19 e 18, 18 e in Giovanni 20, 22-23. L'analisi accurata e oggettiva dei verbi usati dagli scrittori ispirati (legare - sciogliere; rimettere - ritenere) porta alla conclusione che il Signore Gesù ha dato alla sua Chiesa un effettivo potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo.
2 - Soggetto di questo potere non è qualunque discepolo di Gesù, ma le guide qualificate della Chiesa, cioè gli Apostoli e i loro successori. A questa conclusione si arriva analizzando accuratamente e oggettivamente il contesto sia di Matteo 18, 18 che di Giovanni 20, 19-23. In Matteo la riconciliazione del fratello peccatore con Dio e la comunità deve ,avere il sigillo delle guide qualificate della Ekklesìa, ossia della comunità strutturata. In Giovanni 20, 19-23 l'apparizione del Risorto e il conferimento del potere di rimettere i peccati hanno come termine il gruppo degli Apostoli: i Dodici.
3 - Per quanto riguarda Giovanni 20, 19-23 e la sua retta comprensione è nel ricordare che nessuno degli evangelisti intende dirci tutto sulla Risurrezione del Signore (Cf. Giovanni 20, 30; 21, 25). I loro racconti sono selezionati secondo vari punti di vista. Luca insiste sulla oggettività o realtà della Risurrezione e la missione della Chiesa nascente, mentre Giovanni mette più in evidenza il conferimento del potere ai Dodici.
4 - Su quest'ultimo punto, mentre Marco non dice nulla, Luca ne parla in modo implicito (Cf. 24, 44-47), Giovanni è più particolareggiato. Egli racconta minuziosamente l'apparizione dei Risorto ai "discepoli", che poi specifica essere il gruppo degli Apostoli, e ricorda il conferimento del potere penitenziale, di rimettere cioè i peccati commessi dopo il battesimo.
5 - Nei racconti della Risurrezione del Signore le donne hanno un ruolo certamente non secondario: sono le prime messaggere del glorioso evento. Ma tutto quello che esse fanno è collocato nelle ore antimeridiane del primo giorno dopo il sabato, ossia del giorno della Risurrezione. Poi di esse si parla solo in riferimento alla vita comunitaria dei discepoli del Signore (cf. Atti 1, 14) e alla discesa dello Spirito Santo (cf. Atti 2, 1.17-18).
La fede della Chiesa Cattolica
La Chiesa Cattolica ha ribadito e precisato la sua dottrina sul Sacramento della Penitenza soprattutto al Concilio di Trento (1545-1563) in contrapposizione agli errori di Lutero e di Calvino.
Circa l'istituzione di questo sacramento il Tridentino ha definito:
“Il Signore (Gesù) ha istituito il sacramento della penitenza soprattutto quando, dopo la risurrezione, alitò sui suoi discepoli, dicendo: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Giovanni 20, 22-23). Con questo gesto così significativo e parole così chiare fu conferito agli Apostoli e ai loro legittimi successori il potere di rimettere e di ritenere i peccati per riconciliare i fedeli caduti in peccato dopo il battesimo... Condanna le artificiose interpretazioni di quelli che distorcono falsamente quelle parole contro la istituzione di questo sacramento come se si trattasse del potere di predicare la parola di Dio e di annunciare il Vangelo di Cristo”.
“Per quanto riguarda il ministro di questo sacramento il Santo Sinodo dichiara essere false e per nulla conformi alla verità del Vangelo tutti quegli insegnamenti, che con grave pericolo estendono a qualsiasi uomo oltre ai vescovi e ai sacerdoti il ministero delle chiavi, insegnando che quelle parole del Signore: “Tutto quello che legherete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo” (Matteo 18, 18) e: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Giovanni 20, 23) siano rivolte indifferentemente e promiscuamente a tutti i discepoli di Cristo, di modo che chiunque abbia il potere di rimettere i peccati”.

Riportiamo ora alcune affermazioni del Catechismo della Chiesa Cattolica:
“1441. “Dio solo perdona i peccati” (cf. Marco 2, 7). Poiché Gesù è il Figlio di Dio, egli dice di se stesso: “Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati” (Marco 2, 10) ed esercita questo potere divino: “Ti sono rimessi i tuoi peccati !” (Marco 2, 5; Luca 7, 48). Ancor più: “In virtù della sua autorità divina dona tale potere agli uomini” (cf. Giovanni 20, 21-23) affinché lo esercitino nel suo nome”.
“1442. risto ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della riconciliazione che egli ha acquistato per mezzo del suo sangue. Ha tuttavia affidato l’esercizio del potere di assolvere i peccati al ministero apostolico. A questo ha affidato il “ministero della riconciliazione” (2 Corinzi 5, 18). L’apostolo è inviato “nel nome di Cristo”, ed è Dio stesso che, per mezzo di lui, esorta e supplica: “Lasciatevi riconciliare con Dio”” (2 Corinzi 5, 20).
“1445. Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi escluderete dalla vostra comunione, sarà escluso dalla comunione con Dio; colui che voi accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione con Dio”.
“1461. Poiché Cristo ha affidato ai suoi Apostoli il ministero della riconciliazione (cf. Giovanni 20, 23; 2 Corinzi 5, 18), i vescovi, loro successori, e i presbiteri, collaboratori dei vescovi, continuano ad esercitare questo ministero. Infatti sono i vescovi e i presbiteri che hanno, in virtù del sacramento dell’Ordine, il potere di perdonare tutti i peccati “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo””.
(di N.Tornese)
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