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Ebrei 7,3

Ultimo Aggiornamento: 08/04/2007 15:28
12/02/2007 15:42
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Per provare l’uguaglianza in eternità, tra il Padre e il Figlio, di solito vengono citate alcune scritture che, per amore del ragionamento, riporto di seguito. Queste sono:

“Presentato senza padre e senza madre, senza genealogia, non avente né principio di giorni né fine di vita, assimilato al Figlio di Dio, rimane sacerdote in eterno”. (Eb 7, 3 NVB)

“Ma da te, o Betlemme, Efrata, piccola per essere tra le migliaia di Giuda, da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni”. (Mic 5, 1 NR)

“Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace”. (Is 9, 5 NR)

Come si spiegano questi versi, alla luce di quanto è stato detto, circa la subordinazione del Figlio a Dio, il suo essere “creato” dall’Iddio “Ingenerato”, e la sua esistenza quale ‘Primogenito di tutta la creazione’? (Col 1, 15)

Ebrei 7, 3 paragona Gesù a Melchisedec, Sacerdote e Re in Salem (Gerusalemme). Il suo sacerdozio è più antico di quello di Abramo, ma non si conosce nulla di lui, né il nome dei suoi genitori, né la sua provenienza, né la genealogia, né l’età, né tanto meno chi fossero i suoi predecessori e successori, semmai ne avesse avuti. Tuttavia, Melchisedec era un uomo, e benché la scrittura dica che non ebbe ‘principio di giorni né fine di vita’, egli era comunque un uomo, ebbe dunque un inizio, con la sua nascita, ebbe dei genitori che lo generarono, e ad un certo punto della sua vita cessò di esistere, morendo come muore ogni essere umano nato di donna.
Non conoscendo la sua storia e la sua genealogia, la Bibbia lo descrive come ‘eterno’, senza principio né fine, e prende a prestito la sua figura come un tipo del Messia, anch’egli Sacerdote e Re.
Anche Cristo, però, ebbe un principio, come testimonia egli stesso nell’ottavo capitolo del libro dei Proverbi, dove parla di sé come della Sapienza di Dio personificata nel Figlio, la Parola.
Dal momento che nessuno conosce esattamente quando ebbe inizio l’esistenza del Figlio, e l’unico elemento a disposizione è la testimonianza biblica, secondo la quale egli esiste “dal principio”, cioè “dagli inizi della terra”, prima ancora che fosse data esistenza ad “ogni creatura” creata “per mezzo di lui”, sì, dal momento che nessuno conosce la sua età, anche del Figlio, come di Melchisedec, viene detto che è eterno . (Pr 8, 23; Col 1, 15-16 )

Così come l’eternità di Melchisedec è relativa a un’esistenza incalcolabile, allo stesso modo, l’eternità del Figlio di Dio è relativa a un’esistenza indefinita. Come l’eternità di Melchisedec non ha nulla a che fare con l’eternità di Dio, (l’Ingenerato, Colui che esiste dall’eternità dell’eternità), così è da intendersi l’eternità attribuita al Figlio: egli è eterno dal punto di vista umano, poiché esiste da molto tempo prima che l’uomo stesso venisse all’esistenza.

Così com’è intesa l’eternità del Figlio descritta in Ebrei, allo stesso modo è da intendersi l’eternità del Figlio secondo le parole del profeta Michea. Ma, in che modo dobbiamo intendere le parole di Isaia, quando parla di Gesù come “Padre eterno”? In che senso egli è anche ‘Padre’?
La paternità di Gesù è strettamente legata alla redenzione dell’umanità. L’uomo era destinato alla morte eterna, a causa del peccato ereditato dal primo Adamo. Dio volle che Cristo divenisse per l’uomo “l’ultimo Adamo”, (1 Cor 15, 45) il ‘Padre adottivo’ del genere umano. Fu per mezzo del suo sangue perfetto, versato nel suo sacrificio, che acquistò l’umanità come “figli”, divenendo così il Redentore, il Salvatore e il Padre eterno, poiché ogni speranza di vita eterna per l’uomo, da allora in avanti, sarebbe dipesa dal riconoscere in Cristo il proprio Signore e Re.
Avendo acquistato l’umanità col suo prezioso sangue, Gesù è divenuto il “Padre eterno”dell’umanità redenta.

Emmaus@
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