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Filippesi 2, 5-11

Ultimo Aggiornamento: 15/08/2022 11:19
08/02/2007 11:14
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Un passo biblico assai discusso, è quello di Filippesi 2, 5-11, che recita: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo: il quale pur vivendo ad immagine di Dio non volle per rapina farsi uguale a Dio, ma annichilì sé stesso prendendo la forma di uno schiavo. Fatto pari a un uomo e trovato d’aspetto come un uomo, si abbassò, divenendo ubbidiente sino alla morte…”

Secondo il contesto, l’apostolo Paolo espresse queste parole allo scopo di indurre i Filippesi all’umiltà, incoraggiandoli ad avere lo stesso sentimento di Cristo, non esaltandosi al di sopra degli altri. Così presenta loro il modello di umiltà e sottomissione di colui che, pur essendo in “forma” di Dio, (o come traduce la CEI: ‘essendo di natura divina’), non pretese d’essere uguale a Dio, né cercò di rapinare l’uguaglianza con Dio.
Una tra le versioni bibliche, che rende le parole di Paolo secondo quella che ritengo sia la giusta chiave di lettura, è la Bibbia Concordata, che al versetto 6 dice: “il quale, pur essendo in forma di Dio, non ritenne come cosa da far propria avidamente l’essere uguale a Dio”.

Secondo questa traduzione, Gesù, pur essendo nella forma uguale a Dio, non pensò di diventarlo interamente; una cosa del genere, per lui, sarebbe stata una “harpagmon”, cioè: un’azione avida, una rapina, un furto, una sottrazione indebita.

La Traduzione di A.Vianello, traduce questo passo con le seguenti parole: “che in forma di Dio essente non una pretesa stimò l’essere uguaglianza a Dio”.

Anche se Gesù era in “forma [morphe] di Dio”, (ovvero, era Dio nel senso biblico), non considerò “l’essere come Dio” - (non considerò di fare una rapina per afferrare [harpagmos] ciò che non gli apparteneva, cioè “l’essere come Dio”) - una coeguaglianza intera con il Padre, ma ciò che lo stesso termine intende, è un’uguaglianza nella forma d’esistenza, nell’aspetto visibile, esteriore, nella figura o sembianza divina, spirituale. Proprio come ‘Dio è uno spirito’ (Gv 4, 24), allo stesso modo Gesù è uno spirito!

“Essere come Dio” appare dunque sinonimo di “era in forma di Dio”, “come Dio”: ‘della stessa morphe o forma divina del Padre’. L’uguaglianza con Dio, era solo dal punto di vista della morphe, della forma corporea.

Secondo un commentario biblico, “l’espressione greca (l’avverbio ìsa invece che ìson) indica, la similitudine con Dio, piuttosto che una uguaglianza in senso stretto…Di fatto, l’intera frase (incluso il «non considerò» riflette probabilmente un’espressione proverbiale che significa «servirsi di qualcosa per il proprio (egoistico) vantaggio». La frase allora significa che, colui che viveva in maniera deiforme, non utilizzò la sua condizione di gloria per delle finalità puramente egoistiche!” - [NGCB - pagg.1038, 1039]

Leggendo il contesto del passo biblico che stiamo esaminando, si nota che il soggetto è Dio Padre, il quale pone Gesù in una posizione più alta, per la ragione che ha saputo umilmente rinunciare alla sua posizione celeste per divenire uomo e soffrire allo scopo di redimere l’umanità peccatrice. Così Dio lo premia, dandogli una gloria maggiore. Il fatto che Dio lo abbia posto in una posizione più alta, è da intendersi ‘ad eccezione della propria’.
«Così egli è superiore a qualsiasi altra creatura . Ma resta inferiore a Dio. Quando Paolo in 1 Corinti 15,27 applica al Figlio di Dio le parole “tutto ha posto sotto i piedi di lui” (Salmo 8,7), egli eccettua Dio espressamente, concludendo: “quando avrà assoggettato a lui tutte le cose, allora il Figlio stesso farà atto di sottomissione a Colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti” ».(Bas Van Iersel Concilium 3, 1982)

Se Dio gli può dare una posizione più alta, ciò dipende dal fatto che il Padre è superiore al Figlio. Se tra di loro ci fosse stata coeguaglianza, Dio non avrebbe avuto bisogno di elevarlo a superiorità. Comunque, ciò a cui Gesù rinuncia facendosi uomo, non è tanto l’uguaglianza con Dio, quanto la posizione celeste che occupava in forma divina.

Al di là dell’interpretazione che il lettore darà al brano in discussione, c’è da tener presente che, mentre Adamo, fatto ad immagine di Dio, volle divenire uguale a Dio per rapina, disobbedendogli ed auto-elevandosi, (vedi Gn 3,5-22:“ora l’uomo è divenuto come uno di noi” = un dio), al contrario, Cristo, il secondo Adamo, anch’egli ‘immagine di Dio’, non volle rapire l’uguaglianza a Dio, bensì, gli rimase ubbidiente e accettò l’umiliazione di farsi uomo fino alla morte.
Del resto, quando Paolo incoraggiò i Filippesi ad avere ‘il medesimo sentimento di Cristo’ (Fil 2, 2), li stava esortando a imitare l’umiltà di Gesù, che non era certo quella di “non reputare rapina l’essere uguale a Dio”, come traduce, ad esempio, la versione di G. Diodati (ediz. del 1973), espressione contraddittoria, sulla base del ragionamento che fa l’Apostolo. L’invito all’imitazione di Cristo, fatto ai filippesi, era per incoraggiare a sviluppare quel sentimento di umiltà, tipico di Gesù, e al quale non passò mai per la testa, anche solo il pensiero d’essere uguale a Dio.

Emmaus@
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