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Filippesi 2, 5-11

Ultimo Aggiornamento: 15/08/2022 11:19
08/02/2007 11:14
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Un passo biblico assai discusso, è quello di Filippesi 2, 5-11, che recita: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo: il quale pur vivendo ad immagine di Dio non volle per rapina farsi uguale a Dio, ma annichilì sé stesso prendendo la forma di uno schiavo. Fatto pari a un uomo e trovato d’aspetto come un uomo, si abbassò, divenendo ubbidiente sino alla morte…”

Secondo il contesto, l’apostolo Paolo espresse queste parole allo scopo di indurre i Filippesi all’umiltà, incoraggiandoli ad avere lo stesso sentimento di Cristo, non esaltandosi al di sopra degli altri. Così presenta loro il modello di umiltà e sottomissione di colui che, pur essendo in “forma” di Dio, (o come traduce la CEI: ‘essendo di natura divina’), non pretese d’essere uguale a Dio, né cercò di rapinare l’uguaglianza con Dio.
Una tra le versioni bibliche, che rende le parole di Paolo secondo quella che ritengo sia la giusta chiave di lettura, è la Bibbia Concordata, che al versetto 6 dice: “il quale, pur essendo in forma di Dio, non ritenne come cosa da far propria avidamente l’essere uguale a Dio”.

Secondo questa traduzione, Gesù, pur essendo nella forma uguale a Dio, non pensò di diventarlo interamente; una cosa del genere, per lui, sarebbe stata una “harpagmon”, cioè: un’azione avida, una rapina, un furto, una sottrazione indebita.

La Traduzione di A.Vianello, traduce questo passo con le seguenti parole: “che in forma di Dio essente non una pretesa stimò l’essere uguaglianza a Dio”.

Anche se Gesù era in “forma [morphe] di Dio”, (ovvero, era Dio nel senso biblico), non considerò “l’essere come Dio” - (non considerò di fare una rapina per afferrare [harpagmos] ciò che non gli apparteneva, cioè “l’essere come Dio”) - una coeguaglianza intera con il Padre, ma ciò che lo stesso termine intende, è un’uguaglianza nella forma d’esistenza, nell’aspetto visibile, esteriore, nella figura o sembianza divina, spirituale. Proprio come ‘Dio è uno spirito’ (Gv 4, 24), allo stesso modo Gesù è uno spirito!

“Essere come Dio” appare dunque sinonimo di “era in forma di Dio”, “come Dio”: ‘della stessa morphe o forma divina del Padre’. L’uguaglianza con Dio, era solo dal punto di vista della morphe, della forma corporea.

Secondo un commentario biblico, “l’espressione greca (l’avverbio ìsa invece che ìson) indica, la similitudine con Dio, piuttosto che una uguaglianza in senso stretto…Di fatto, l’intera frase (incluso il «non considerò» riflette probabilmente un’espressione proverbiale che significa «servirsi di qualcosa per il proprio (egoistico) vantaggio». La frase allora significa che, colui che viveva in maniera deiforme, non utilizzò la sua condizione di gloria per delle finalità puramente egoistiche!” - [NGCB - pagg.1038, 1039]

Leggendo il contesto del passo biblico che stiamo esaminando, si nota che il soggetto è Dio Padre, il quale pone Gesù in una posizione più alta, per la ragione che ha saputo umilmente rinunciare alla sua posizione celeste per divenire uomo e soffrire allo scopo di redimere l’umanità peccatrice. Così Dio lo premia, dandogli una gloria maggiore. Il fatto che Dio lo abbia posto in una posizione più alta, è da intendersi ‘ad eccezione della propria’.
«Così egli è superiore a qualsiasi altra creatura . Ma resta inferiore a Dio. Quando Paolo in 1 Corinti 15,27 applica al Figlio di Dio le parole “tutto ha posto sotto i piedi di lui” (Salmo 8,7), egli eccettua Dio espressamente, concludendo: “quando avrà assoggettato a lui tutte le cose, allora il Figlio stesso farà atto di sottomissione a Colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti” ».(Bas Van Iersel Concilium 3, 1982)

Se Dio gli può dare una posizione più alta, ciò dipende dal fatto che il Padre è superiore al Figlio. Se tra di loro ci fosse stata coeguaglianza, Dio non avrebbe avuto bisogno di elevarlo a superiorità. Comunque, ciò a cui Gesù rinuncia facendosi uomo, non è tanto l’uguaglianza con Dio, quanto la posizione celeste che occupava in forma divina.

Al di là dell’interpretazione che il lettore darà al brano in discussione, c’è da tener presente che, mentre Adamo, fatto ad immagine di Dio, volle divenire uguale a Dio per rapina, disobbedendogli ed auto-elevandosi, (vedi Gn 3,5-22:“ora l’uomo è divenuto come uno di noi” = un dio), al contrario, Cristo, il secondo Adamo, anch’egli ‘immagine di Dio’, non volle rapire l’uguaglianza a Dio, bensì, gli rimase ubbidiente e accettò l’umiliazione di farsi uomo fino alla morte.
Del resto, quando Paolo incoraggiò i Filippesi ad avere ‘il medesimo sentimento di Cristo’ (Fil 2, 2), li stava esortando a imitare l’umiltà di Gesù, che non era certo quella di “non reputare rapina l’essere uguale a Dio”, come traduce, ad esempio, la versione di G. Diodati (ediz. del 1973), espressione contraddittoria, sulla base del ragionamento che fa l’Apostolo. L’invito all’imitazione di Cristo, fatto ai filippesi, era per incoraggiare a sviluppare quel sentimento di umiltà, tipico di Gesù, e al quale non passò mai per la testa, anche solo il pensiero d’essere uguale a Dio.

Emmaus@
08/02/2007 11:18
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Continuando l’analisi della scrittura di Filippesi 2, al versetto 7 possiamo notare un’altra interessante sfumatura: “ma svuotò se stesso, assumendo la natura di schiavo, e facendosi simile all’uomo”.(Ediz. Salani)
Lo svuotamento a cui Paolo fa riferimento, è lo spogliamento della gloria celeste e della divinità che caratterizzavano la persona di Cristo prima ancora di accettare di rivestire la forma d’uomo, la sua intera somiglianza all’uomo, divenendo uno ‘schiavo’ di Dio, secondo la descrizione profetica di Isaia 53,7 .
In un suo studio sull’argomento, il Professor F. Salvoni (1907-1982), teologo e biblista, commentò questo passaggio della Scrittura dicendo che: “Adamo disubbidendo tentò di farsi uguale a Dio (cf Ge 3, 5): volle divenire uguale a Dio nell’autodeterminarsi come voleva, nel conoscere il bene e il male; ma anziché elevarsi a Dio, decadde; Cristo vi riuscì con l’ubbidienza, che lo pose alla destra di Dio. Gesù avrebbe potuto conquistare il mondo senza soffrire (tentazione); con le sue doti poteva ridurre tutta l’umanità ai suoi piedi; ma questo sarebbe stato un rapire a Dio tale dominio, un farsi uguale a Dio «per rapina»”.
Martin Werner, (1887-1964), professore all’Università di Berna dal 1927 al 1957, in un suo libro commenta la scrittura di Filippesi dicendo: “In questo caso l’apostolo si serve di un concetto di trasformazione della figura. Egli ha cura di esprimere in tal modo il delicato nesso: il sopraterreno, preesistente Cristo si è privato della sua «divina» (cioè celeste) «figura», la ha permutato nella figura di uno schiavo... Ciò significa che egli è apparso in forma simile a quella di un uomo e che in tutto il suo aspetto è divenuto uguale a un uomo (Filippesi 2, 6 ss.); perciò Dio lo ha mandato «in una figura simile alla carne del peccato» (Romani 8, 3) … In Dio non c’è mutamento. L’idea appare esplicita perfino nel Nuovo Testamento (Giacomo 1, 17). Se il Cristo celeste fosse stato uguale a Dio per natura, sarebbe stato impossibile, per quella mentalità, l’avvento di Cristo in terra, così come sarebbe stato impossibile ammettere la stessa cosa per Dio Padre… il Dio trascendente e assoluto, che secondo I Timoteo 6,16 nessuno ha visto e nessuno potrà mai vedere.”

Ciò che Paolo sostiene nella sua lettera ai Filippesi, è che Gesù si spogliò della sua divinità, per diventare ‘Figlio dell’uomo’, il “secondo Adamo”, completamente e totalmente identico all’immagine del primo Adamo.

Emmaus@
08/02/2007 15:19
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Permettimi alcune osservazioni, nella tua disamina c'è molta più teologia che esegesi. Se da un lato chi scrive, in questo caso l'apostolo Paolo, certamente fa anche teologia, dall'altro non scrive a dei professori di cristianeso. Il presupposto di fondo che l'espressione "essere uguale a Dio", sottointenda in modo tacito, una tale complessità di affermazioni tanto da portare i destinatari che leggono, a dare significati che si discostano dai termini usati, mi crea qualche difficoltà.
Allo stesso modo, seconda osservazione, trovo difficoltà al volere in qualche modo, da parte delle teologia, misurare, e stabilire dei limiti alle qualità divine di Dio, così come al suo manifestarsi ed apparire. L'ipostasi divina in Cristo, vero uomo, e vero Dio è un mistero, ma su quale basi si può realmente affermare che tutto ciò non è concepibile? Su affemrazioni di natura teologica? E su quali basi poggiano queste affermazioni?
Nessuna delle perplessità, che hai sollevato riguardo a questo, in realtà non trovano una risposta. Nessuno ha mai visto Dio, che vive in una luce inacessibile, ma qualcuno l'ha visto nella persona del figlio (così il prologo di Gv), o della seconda persona della Trinità (Mosè al Sinai, o nella tenda di convegno, le teofanie dell'Angelo dell'Eterno). Dio Padre nessuno l'ha mai visto, ma Dio figlio si; "Chi ha visto me ha visto il Padre" Troverai questa tesi sviluppata in modo molto convincente con molta abilità e conoscenza, in una recente pubblicazione ad opera di due biblisti italiani, di notevole spessore, Binni e Boschi, "Cristologia primitiva", Dalla teofonia del Sinai, all'Io Sono giovanneo.
Terza osservazione, in realtà il contesto in cui è posta l'affermazione in questione, rende più che possibile che l'autore realmente crede che Gesù sia Dio incarnato, anzi renderebbe l'affermazione ancora più forte, sarebbe l'esempio per eccellenza. Suonerebbe in questo modo: Prendete ad esempio, Cristo, e il suo atteggiamento, poichè lui che è Dio, ha rinunciato al diritto che le sue prerogative divine gli davano, e vi ha servito. Allo stesso modo voi che lo seguite, siate umili, e se anche vi credete qualcosa ricordatevi come si è comportato lui.
Questo è il contesto, il resto lo hai aggiunto tu. Noi non sappiamo in quale modo la natura di Dio abbia potuto convivere nell'ipostasi con quella Divina, ma in nessuna parte siamo autorizzati a crede che Gesù rinunciò a questo, qui l'apostolo afferma solo che rinunciò alle sue prerogative (che non sono le qualità, che essendo parte stessa della sua natura restano intatte), che gli spettavano in quanto Dio, e credo che faccia eco all'affermazione stessa di Gesù: "il figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire". L'enfasi di tutto è posta proprio sull'atteggiamento, su colui che pur essendo Dio, ha saputo mettere a parte l'onore che gli era dovuto, per servire. L'apostolo Paolo non mi sembra che avverta la necessità di spiegare come tali qualità siano state espresse insieme all'umanità durante la vita terrena di Cristo, che pur ci sono. Di fatti molte versioni usano nel verso in questione, "annichilì", che è chiaramente vuole dire, rinunciò nel senso limitò, la natura divina che era in lui.
Ritornando al testo

" “Il quale, pur essendo in forma di Dio (dal greco letteralmente essendo Dio), non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 7 ma spogliò sé stesso, (delle prerogative divine) prendendo forma di servo, (accettò di convivere egli che è Dio, in una natura umana, più corretto divenne simile ad una creatura) divenendo simile (non uguale) agli uomini; 8 trovato esteriormente (non uguale) come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce.


Cristo essendo Dio, rinuncia volontariamente a delle prerogative della sua deità, per rivestire se stesso di una natura umana. Quindi letteralmente Paolo afferma Dio si riveste di una natura umana. Esso che è Dio non può nessun modo essere diverso da quello che è, ma può però rinunciare a delle sue prerogative.
Allo stesso modo la parola è una prerogativa dell'uomo, ma l'uomo se vuole può rinunciare ad essa, ma certo non può rinunciare ad essere uomo in quanto tale.

Lascio ad Andreiu l'eventuale esame del testo greco.

[Modificato da ilcuorebatte1 08/02/2007 15.38]

12/02/2007 11:21
Post: 63
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Re:

Scritto da: ilcuorebatte1 08/02/2007 15.19
Lascio ad Andreiu l'eventuale esame del testo greco



Qui c'è una bella desamina del testo dall'originale:

http://digilander.libero.it/domingo7/FILIPPESI%202,6.htm

[SM=g27988]

http://andreabelli75.wordpress.com/

http://progettostudiodellabibbia.wordpress.com/
12/02/2007 15:30
Post: 6
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Vorrei proporre ulterori spunti di approfondimento nel merito dell'esegesi del passo di Filippesi, con il tentativo di rendere maggiormente implicito quale fosse il contesto in cui l’apostolo, inserisce questo famoso a detta di diversi esegesi “inno cristologico”.
Al v6 troviamo la seguente espressione, in riferimento alla pre-esistenza di Gesù, in quale esisteva prima dell’incarnazione, secondo l’affermazione dell’apostolo Paolo “in forma di Dio..."
L'uso del participio del participio "huparchon", tradotto con “essendo” o “sussistendo”, indica chiaramente nel pensiero dell’apostolo che Egli era già in esistenza prima della sua venuta, ma nel contesto, sottintende anche il senso, che assumendo la “forma di servo”, (che nell’antitesi sviluppata in opposizione alla prerogativa della Maestà che appartiene alla deità, vuole dire di “creatura”, di “essere creato”, di colui che deve è chiamato ad onore, a servire e riverire, in opposizione alla deità a cui spettano l’onore, il servizio, e la riverenza) che non cessò di essere ciò che era.
L’affermazione da cui parte il tutto di fatti suona in questo modo… “…il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò se stesso… … facendosi ubbidente fino alla morte”. Il processo di “spogliazione”, che in l’apostolo contestualizza nell’espressione “abbiate lo stesso atteggiamento”, non ha termine nel suo prendere “la forma di servo”, ma continua fino alla sublimazione della sua obbedienza, cioè la sua morte in Croce. L’analisi dei tempi dei verbi, mette in risalto che l'utilizzo dell'imperfetto seguito dagli aoristi evidenza di fatti la continuità dell'essere, nel tramite della sua incarnazione, in riferimento alla sua natura divina.
L'espressione in "forma di Dio", crea l'antitesi con l'espressione analoga "in forma di servo, ma l'analogia gioca sul fatto che così come era vero Dio, era allo stesso tempo vero servo al tempo della sua permanenza su questa terra, cioè vero uomo. Questo pensiero, cioè la necessità nell’opera di redenzione che Cristo, fosse tanto uomo, quanto Dio, è una “necessità” nello sviluppo soteriologico che l’apostolo Paolo mette in luce a più riprese nelle sue lettere. Emmaus, nel suo intervento, partendo dalla sua prospettiva non trinitaria, ha espresso bene la necessità che Cristo fosse figura di Adamo, e come “archetipo” del genere umano era necessario che Lui fosse pienamente uomo, non sub-uomo, non mezzo uomo, non falso uomo… ma uomo. Allo stesso tempo era necessario perché l’uomo fosse riconciliato a Dio, e l’opera di redenzione fosse realmente restauratrice della prima comunione tra l’uomo e Dio prima del peccato, che fosse Dio, non un sub-dio, o un mezzo dio, ma Dio perché avendo Cristo tramite il suo sacrificio pagato il prezzo pieno del nostro riscatto, solo se lui è realmente Dio, possiamo appartenere veramente a Dio. In caso diverso, se Lui non è Dio, noi siamo divenuti di diritto sua proprietà. Questi due presupposti sono evidenti nell’economia della soteriologia paolina. Altre cose non lo sono, L’apostolo non si interroga su come l’ipostasi possa concretizzarsi, su come le due nature possano convivere, tutto ciò non rientra nella sua sfera d’indagine, e non sembra per lui essere un insormontabile problematica.
Ritornando al passo di Filippesi, esaminando il contesto linguistico, ciò che esce “sminuito” della terminologia non è la natura divina di Cristo, che è chiaramente enunciata, senza alcuna ombra di dubbio, ma la sua natura umana.
Molti studiosi hanno approfondito il significato concettuale dell'espressione "forma", che designa ciò che è: "intrinseco ed essenziale", diverso rispetto alla parola "esteriore", che invece si rivolge a ciò che è esterno e fortuito. Nel contesto, in "forma di Dio", designa la natura e l'essenza della deità, che appartiene a Cristo. Cristo, afferma l’apostolo Paolo: “pur essendo in forma di Dio”, (ritorno ad affermare che l’espressione theos, non ha alcuna equivalenza con il termine ebraico elohim), ma il proseguo dell’affermazione chiarisce e toglie ogni dubbio sulla dignità in quanto a deità nel pensiero dell’apostolo: “non considerò l’essere uguale a Dio…” ; l’affermazione è chiara, nel contesto di questa specifica pericope, senza alcun dubbio l’apostolo asserisce che Cristo è Dio, non vi è alcuna possibilità di frainteso da questo punto di vista. Certo non esaurisce tutta la gamma di possibilità in cui questa asserzione paolina potrebbe confluire, nel “trinitarismo economico”, nel modalismo, nel monosifismo… ma trovano in altro luogo e in altre testimonianza scritturali la loro critica, ma rimane ferma nel pensiero dell’apostolo Paolo, almeno qui in questo passaggio della sua lettera ai Filippesi, l’asserzione che Cristo è Dio, da tutto ciò non si sfugge.
Nella "Kenos", nell’azione di spogliarsi, che l’apostolo Paolo esprime, troviamo in realtà espresso un processo. Volontariamente, afferma l’apostolo, rinunciò ai privilegi di cui aveva diritto essendo uguale a Dio, per poter prendere la forma di uno schiavo, e compiere l'opera di redenzione, divenendo simile agli uomini, e questo è un’atto di umiltà. Io trovo nell’espressione… “non considerò l’essere uguale a Dio, qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente”, un’affermazione importante, che ci permette di intuire che l’apostolo Paolo distingueva la personalità di Cristo, da quella di Dio Padre, in quanto Cristo essendo Dio, accetta l’opera che il Padre gli richiede, e non reputa la sua condizione di eguaglianza con il Padre, un ostacolo a questo. Questo è il primo livello “kenos”, di abbassamento, di umiliazione, di spogliamento delle sue prerogative divine.
L’apostolo non si interroga o non spiega come tutto ciò si possa concretizzare nella persona di Gesù, tace completamente sull’economia dell’ipostasi che si realizza in Cristo. Non sente la necessità di spiegare in quale modo le prerogative, e le qualità divine nella persona di Gesù vengono ad annichilirsi. Quello che invece evidenzia nel contesto e che Gesù agli occhi delle persone apparve in tutto simile ad un uomo, usa espressioni che tendono nel contesto ad enfatizzare la sua deità, piuttosto che la sua piena umanità.
Mi piacerebbe avere un contributo all’esegesi dei versetti che seguono che vanno dal 9-11, mi interesserebbe sentire restando attaccati al pensiero dell’apostolo Paolo in quale modo vengono letti
11/12/2008 23:52
Post: 6
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Si sentono comunque idiozie anche se agli atei risulta impossibile creare...

Chi vuole leggere, legga...

San Paolo sta solo dicendo che questi Filippesi sono divini e che ciò non sia un pretesto per perdere della preziosa umiltà nei confronti di Dio. Gesù ha obbedito fino alla fine morendo, pur avendo la facoltà di decidere sulla propria vita..., come il Padre ha voluto.
Se qualcuno tra i presenti non lo dovesse sapere, Gesù non è un uomo e quindi non è soggetto al peccato originale e quindi alla morte. Ecco il motivo di Luca 22, 42: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà».
Poteva un uomo, soggetto al peccato originale e quindi alla morte, dire questo?

Qualcuno ha problemi che riguarda il "figlio dell'uomo"? Per quello che mi riguarda, io non ho nessun tipo di problema...



[SM=g7059]


13/12/2008 14:03
Re:
vi saluto in CRISTO SIGNORE

mio caro fratello "Angelo...." che scrivi :

Angelo(1), 11/12/2008 23.52:

Si sentono comunque idiozie anche se agli atei risulta impossibile creare...

Chi vuole leggere, legga...
.........
Se qualcuno tra i presenti non lo dovesse sapere, Gesù non è un uomo e quindi non è soggetto al peccato originale e quindi alla morte. Ecco il motivo di Luca 22, 42: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà».
Poteva un uomo, soggetto al peccato originale e quindi alla morte, dire questo?

Qualcuno ha problemi che riguarda il "figlio dell'uomo"? Per quello che mi riguarda, io non ho nessun tipo di problema...

[SM=g7059]






R I S P O S T A

mio caro fratello


per la Cristianità Cattolica
GESU' E' vero Uomo e vero DIO

altrimenti il suo sacrificio non sarebbe servito all'Umanità...., ma volendo si può anche approfondire

grazie

vi saluto iin CRISTO RISORTO



.


[Modificato da cavdna 13/12/2008 14:04]
16/12/2008 19:17
Post: 15
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Re: Re:
cavdna, 13/12/2008 14.03:

vi saluto in CRISTO SIGNORE

mio caro fratello "Angelo...." che scrivi :





R I S P O S T A

mio caro fratello


per la Cristianità Cattolica
GESU' E' vero Uomo e vero DIO

altrimenti il suo sacrificio non sarebbe servito all'Umanità...., ma volendo si può anche approfondire

grazie

vi saluto iin CRISTO RISORTO



.






Gesù è stato crocifisso senza peccato originale, ed è proprio questo che fa la differenza tra il buon ladrone e chi non accetta la giustizia di Dio. Il buon ladrone, infatti, accetta la giustizia di Dio, cioè lui si è ritrovato sulla croce senza per questo rinnegare Dio, e rimprovera l'altro, che rinnega Gesù per il fatto di trovarsi sulla croce, dicendo che Dio stesso è morto sulla croce pur senza peccato originale...
Come vedi, un Gesù con il peccato originale non ci sta proprio sulla croce...


[SM=g7059]



16/12/2008 22:09
Re: Re: Re:
vi saluto in CRISTO SIGNORE

mio caro fratello "Angelo...." che scrivi :

Angelo(1), 16/12/2008 19.17:




Gesù è stato crocifisso senza peccato originale, ed è proprio questo che fa la differenza tra il buon ladrone e chi non accetta la giustizia di Dio. Il buon ladrone, infatti, accetta la giustizia di Dio, cioè lui si è ritrovato sulla croce senza per questo rinnegare Dio, e rimprovera l'altro, che rinnega Gesù per il fatto di trovarsi sulla croce, dicendo che Dio stesso è morto sulla croce pur senza peccato originale...
Come vedi, un Gesù con il peccato originale non ci sta proprio sulla croce...

[SM=g7059]




R I S P O S T A

mio caro fratello


cerco di portare un pò della mia Cristianità

io ho parlato di sacrificio e non di INCARNAZIONE

e non ho mai messo in dubbio circa l'assenza del "peccato originale"

infatti la CHIESA Cattolica dice che l'Uomo CRISTO GESU'/DIO CON NOI ha condiviso tutto con l'uomo eccetto il peccato.

ma tornando al suo SACRIFICIO (ed è di quello che io parlavo - ovvero, vero Uomo e vero DIO...)

non è morto un DIO, così come tu affermi, infatti

"....tutto E' compiuto......nelle TUE mani rimetto il mio SPIRITO..... (ricordi la Scrittura del Vangelo, vero?)"

quindi in CROCE muore l'Uomo GESU' (ma ripone lo SPIRITO a DIO),
viene deposto in una toba "nuova" ......, ma!...

nessuno mi toglie la vita...., sono io che la dono..., per poi riprendermela ......

forse la "PASSIONE" andrebbe ulteriormente approfondita?

o forse necessita approfondire anche l'INCARNAZIONE.....

grazie

vi saluto in CRISTO RISORTO



.



15/08/2022 11:19
Post: 0
Registrato il: 15/08/2022
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Buongiorno, mi sono appena iscritto e saluto tutti in Cristo. Riguardo al tema in oggetto, è bene capire per un verso quale fosse probabilmente l'intenzione dell'autore sacro, ovvero cosa avesse compreso sulla natura di Cristo, basandosi sul Nuovo Testamento nel suo complesso e non su singoli versetti, e conseguentemente come leggere correttamente la pericope in discussione. La traduzione di Fil 2,6 è la seguente nella sostanza: "abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, il quale esistendo in forma di Dio non considerò una rapina l'essere uguale a Dio". San Paola parla di uguaglianza con Dio per quel che concerne la forma non la sostanza, non era un teologo (come sarebbe poi stato ad esempio Sant'Agostino), quando parlava di "forma" la intendeva con ogni probabilità in senso letterale, non ragionava da teologo. Mi sembra dunque che - per San Paolo - Cristo fosse divino e di forma divina, ma non uguale a Dio Padre in tutto, ma solo nella "forma'. Io credo nella uguaglianza divina in tutti i sensi del Figlio con Dio Padre, ma il Nuovo Testamento nel suo complesso evidenzia che gli apostoli non avessero ancora compreso questa piena uguaglianza.
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