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Genesi 1, 26

Ultimo Aggiornamento: 07/02/2007 13:19
07/02/2007 13:19
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ASIMOV, nel suo libro intitolato "Il libro della Genesi interpretato alla luce della Scienza" (pagg. 74,75), scrive: 'L'espressione 'facciamo', è stata spiegata come un plurale "di maestà". Ma questi usi della prima persona plurale sono relativamente recenti, ed erano ignoti ai tempi biblici. Si potrebbe argomentare che il plurale è usato per alludere alla immensa molteplicità di poteri e di attributi di una divinità infinita. Ma questo si avvicina molto a un'ammissione di politeismo. Un'altra possibilità è che Dio qui si rivolga agli angeli. Ma l'idea di una corte celeste di schiere angeliche è un'acquisizione piuttosto tarda del pensiero ebraico. Per i cristiani, che vedono in Dio una Trinità di persone uguali e distinte, il 'facciamo' potrebbe esprimere la conclusione dei tre aspetti della Trinità. E' un'idea interessante, ma in tutto l'Antico Testamento non c'è il minimo indizio che gli Ebrei accettassero il concetto della Trinità’.

Giovanni fa luce sull’argomento, quando asserisce che “Egli era al principio con Dio”. Egli era con Dio: due Persone spirituali separate, distinte e insieme, “con”, dal greco “pros” , complemento di compagnia che sta per ‘vicino a’, ‘insieme’, ‘accanto’, indicandone la relazione di intimità e amicizia che esisteva tra il Padre e il Figlio, e sostenuta ulteriormente dal racconto di Genesi, quando, dopo aver creato l’uomo, Dio disse: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi”.
Con chi infatti il Creatore avrebbe condiviso la sua gioia, quando, alla fine di ogni giorno lavorativo, esprimeva con soddisfazione che ‘tutto era molto buono’?
Con il Figlio, colui il quale aveva personificato in sé tutta la sapienza di Dio, e per la quale era di continuo esuberante di gioia in ciò che vedeva esistere, grazie al suo stesso contributo.
Nella sua testimonianza infatti aggiunge: ‘ mi rallegravo davanti a lui in ogni tempo’, espressione che rivela la gioia e la delizia, quali sentimenti che scaturivano in lui per la partecipazione all’opera creativa, parole che nel contempo esprimono una chiara distinzione tra il Padre e il Figlio, ‘l’uno dinnanzi all’altro’.

Questo concetto è avvalorato da ciò che disse Giustino Martire , il quale sostenne intrepido questo pensiero nel suo Dialogo con Trifone (160 d.C.), dove scrisse che vi è “un Dio e Signore diverso dal creatore di tutte le cose” (56,4): “è un altro Dio rispetto a quello che ha fatto tutte le cose, un altro intendo, per numero, non per distinzione di pensiero. Egli infatti non ha mai fatto nulla se non quello che il creatore del mondo, al di sopra del quale non c’è altro Dio, ha voluto che facesse o dicesse”. (56,11) -

Avendo partecipato col Padre sin dai primi tempi, e avendone gustato la sua vicinanza e la sua conoscenza, il Figlio, quale Verbo di Dio, divenne il suo legale rappresentante, colui che avrebbe saputo rifletterne l’immagine impressa nella sua sostanza. Per tale ragione è detto che Egli “è l’immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Podestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui”.

Fu durante la sua permanenza nei cieli, prima ancora che divenisse Figlio dell’uomo, che ricevette istruzioni dal Padre, in vista della missione che aveva da compiere quale “mediatore” per la redenzione dell’umanità. Per tale ragione, quando fu sulla terra, disse: “Non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre”.
Se dunque ha ricevuto insegnamento, istruzioni e ordini dal Padre, il Figlio oltre ad essere una persona distinta, è al tempo stesso a lui subordinata.

“Ogni potere mi è stato dato”, disse Gesù ai suoi discepoli, poco prima di raccomandarli quali evangelizzatori nel mondo. Dunque Gesù è ben consapevole che tutto ciò che è presente in lui, tutto ciò che ha fatto, tutto ciò che ha insegnato, tutto ciò che egli è e può fare, tutto ciò che può trasmettere ai discepoli non è farina del suo sacco, ma gli è stato dato da Dio. Egli è solo il testimone, l’esecutore di un ordine superiore, il depositario di doni e di poteri che vengono da Dio.

Emmaus@
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