Magistero e natura della Chiesa

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ilcuorebatte1
00venerdì 23 febbraio 2007 22:39

Quando ci avviciniamo al mistero di Dio, ci accorgiamo della complessità della sua rivelazione, ancora oggi la Chiesa partendo dalle sue diverse sensibilità teologiche si interroga attorno a particolari prospettive e dinamiche che la riguardano da vicino. In particolare il tema del magistero della Chiesa, e della sua trasmissione è un vero e proprio spartiacque tra la teologia cattolica e le diverse visioni che si ritrovano nell’ambito delle Chiese protestanti storiche e non.

Con l’enciclica «Dominus lesus» la CCR ha ribadito che la vera Chiesa , trova fondamento, non solo nominale ma sostanziale nell’ininterrotta linea di successione apostolica.
Linea, che si può trovare ancora presente unicamente nella tradizione storica della Chiesa cattolica e Ortodossa. Il magistero è quindi intrinsecamente legato al concetto stesso di Chiesa.
La posizione della Chiesa ortodossa non è in sostanza differente, anche non riconoscendo la pretesa autorità della CCR della sua particolare lettura del ministero petrino, riconosce la natura del magistero cristiano come discendente dalla linea apostolica e racchiuso in particolare nelle cinque sedi apostoliche così come riconosciute dai Padri al concilio di Nicea.

Il Concilio Vaticano II° nonostante la sua apertura ecumenica ha comunque mantenuto inalterata, la propria posizione che la “commissione per la dottrina della fede” ha ribadito con forza ogni qualvolta il dialogo interconfessionale poteva in qualche modo portare disorientamento nella comprensione teologica della Chiesa:

“…A questo riguardo si constaterà nella teologia evangelica una certa differenza: ad un attento esame i suoi rappresentanti non riconoscono a nessuna delle “chiese” esistenti una vera unità e identità con Cristo, bensì sono dell’opinione che la chiesa, una, santa, cattolica e apostolica esista (nonostante tutte le divisioni), ma esista come “nascosta identità in Cristo”, Tra le comunità cristiane visibili e realmente esistenti, nessuna può concepirsi quale “vera” chiesa di Cristo e quale “centro” attorno a cui si muovono le altre chiese, per diventare infine come questa.
“…dobbiamo riconoscere che noi giriamo assieme alle altre comunità intorno a Cristo, come pianeti intorno al sole, e da Lui riceviamo luce…
…Non c’è bisogno di sottolineare che questa concezione si oppone alla comprensione cattolica della chiesa, anche se non possiamo negare che molti teologi e fedeli cattolici condividono questa opinione .
Secondo l’autocomprensione della chiesa cattolica , la rivendicazione di essere la chiesa di Cristo è fondata biblicamente , visto che la chiesa cattolica riferisce a se stessa tutte le dichiarazioni della Sacra Scrittura sul popolo di Dio, sul gregge di Cristo e sul corpo del Signore…
…Anche i fedeli non cattolici stanno, verso la chiesa, in un rapporto “di brama e desiderio inconscio” . Essi per così dire, possiedono il “votum ecclesiae”, l’orientamento, il desiderio, l’esigenza della Chiesa. Non sono già “nel cerchio dell’unità cattolica”, bensì devono incamminarsi verso esso.”
(Aspetti della crisi postconcilare e corretta interpretazione del Vaticano II; Leo Scheffczyk)

Si può evidenziare che la formulazione della CCR riguardo la posizione protestante pecca in molti punti , e non esprime una comprensione adeguata e completa.
Il pensiero che emerge in maniera predominante nella teologia Cattolico Romana è che il magistero della Chiesa è racchiuso all’interno dell’espressione del ministerio, e che non può essere in alcun modo distinto da questo.
Tale formulazione assume divergenze di carattere profondamente sostanziale tra il mondo cattolico e quello ortodosso:

“Padre Afanassiev, teologo russo, mette in rilievo la differenza fondamentale del duplice concetto di Ecclesiologia: “ L’Ecclesiologia Eucaristica “, e l’Ecclesiologia fondata sulla idea della Chiesa Universale”, questa ultima idea afferma l’esigenza di un solo organismo universale di cui le Chiese locali non solo altro che dei punti. Questo universalismo è per natura centralista e porta
ad un centro di aggregazione monarchico. E’ la concezione del potere giurisdizionale monarchico della Chiesa di Roma.
Anche in alcuni teologi protestanti vi è una concezione cristoromana.
L’Ecclesiologia Eucaristica, che trova il suo fondamento scritturisti, interpreta la parola Ecclesia ( Chiesa ) nel senso “di popolo di Dio chiamato a riunirsi nel Corpo di Cristo “.
La pienezza del Corpo è data nell’Eucarestia, perciò ogni riunione locale, corretta, che abbia un Vescovo alla testa, possiede tutta la pienezza della Chiesa di Dio in Cristo. Ad esempio: “ la Chiesa di Dio che è in Corinto, in Atene, in Mosca, in Italia, ecc. o una qualsiasi Chiesa locale, è la Chiesa nella sua totalità del contenuto Teandrico”
“La differenza fondamentale tra l’Ortodossia e l’Eterodossia riguarda il legame mediante il quale un corpo storico viene costituito come Chiesa. Nella concezione ortodossa il legame fra Dio e l’uomo è raffigurato in forma di Croce nella quale il punto di incontro tra l’orizzontale e il verticale rappresenta la Chiesa.
Il Teandrismo ( Dio - Uomo) costituisce la Chiesa, la pone al centro del mondo, riempie con la sua realtà divina il contenuto umano trasformandolo in sostanza teandrica che implica la continuità orizzontale, cioè la Successione Apostolica, i Sacramenti ( che perpetuano il visibile di Cristo ),
l’incorporazione dei fedeli a Cristo. In pratica, per l’Ortodossia la Chiesa è concretamente, dove si opera il ministero apostolico dell’incorporazione, dove il Vescovo con il suo potere apostolico celebra l’Eucarestia ed integra gli uomini radunati in Corpo mistico
di Cristo.”

L’espressione Ortodossa, nella definizione del magistero lo centralizza maggiormente nella Chiesa, come realtà pur mantenendo fermo il carattere di successione apostolica racchiuso nel Vescovo.

Tale presupposto teologico, trova il suo perché nello sviluppo storico e dottrinale che fanno da sfondo ai primi secoli di storia della Chiesa.
L’esigenza da parte dei padri di difendere la purezza della fede, prima dalle presunte tradizioni segrete delle scuole gnostiche, poi durante la controversia Ariana portò ad un irrigidimento della comprensione del magistero, accentuata soprattutto da una non precisa “connotazione” del Canone all’interno della chiesa. Questo non in relazione al loro carattere ispirato e quindi autorevole, ma in relazione al numero di questi Scritti. Ireneo e Tertulliano per esempio, di fronte alle presunte “tradizioni segrete” che le chiese gnostiche dicevano di avere ricevuto direttamente dalle mani degli apostoli, si appellano alla testimonianza di quelle sedi, (appunto le sedi apostoliche) in cui gli apostoli avevano vissuto e insegnato, e quindi esse erano da considerarsi dei testimoni autorevoli sia in merito agli Scritti, ma anche come depositati della loro teologia.
Interessante notare che la genesi di tale processo affonda le radici per sua stessa natura, nello stesso processo che porterà all’esigenza da parte della Chiesa di formulare un Canone.
All’interno di questo sviluppo teologico sono necessarie entrambi le dinamiche, da una parte il bisogno di una Chiesa che sia considerata autorevole, non solo in materia di trasmissione delle fede, ma soprattutto come depositaria di una tradizione storica che la metta sul piano di continuità con l’opera e il ministerio degli apostoli, affinché possa sulla base della sua autorevolezza riconosciuta da tutti, attestare il criterio stesso di “apostolicità” richiesto agli Scritti che confluiranno nel canone del N.T.
Il primo processo, convalida il secondo, solo una Chiesa autorevole, “convalida” un canone autorevole. La Chiesa autorevole è quella in cui nel suo seno fluisce la vera tradizione, che è lo strumento attraverso cui è stato possibile preservare gli scritti dei testimoni della rivelazione di Cristo, attestarli come autorevoli, seguirne il corso consegnandoli alle generazioni successive fino a farli confluire nella formulazione del Canone del Nuovo Testamento.
Il criterio di apostolicità alla tradizione è quindi intesa essere il fondamento di autenticità in merito al messaggio originale, e di autorevolezza in merito alla dottrina. Importante mettere in luce quindi che la Chiesa fin dall’origine nella sviluppo della sua teologia ha espresso chiaramente che la base della vera ortodossia si muoveva sul binario della preservazione del massaggio originale, secondo un passaggio di consegne Cristo, gli apostoli, la tradizione più che la chiesa nel senso di magistero.

Il protestantesimo nasce in un preciso contesto storico e teologico, e ha visto in questa “prevaricazione”, data proprio dall’irrigidimento clericale della CCR, il principale motivo di corruzione della dottrina.
In un recente articolo André Gounelle, ancora scrive:

“La Riforma pone coscientemente - in aperta rottura con Roma - l'autorità della Scrittura al di sopra e contro l'autorità della chiesa, della gerarchia ecclesiastica e della tradizione. Roma rifiuta questa posizione e la sottopone a critica serrata sostenendo che, accanto alla Bibbia, c'è anche l'autorità della chiesa e della tradizione. E ricordando che è stata la chiesa a dare autorità agli scritti che compongono la Bibbia.”

Il protestantesimo, come è quindi lecito attendersi per la sua genesi ha assunto per la maggior parte posizioni diverse riguardo la natura della Chiesa, essa non è racchiusa nella natura del magistero apostolico neo – testamentario, nella forma con cui viene intesa essere in ambito cattolico – ortodossa, ma secondo le parole del teologo Jüngel il successore degli apostoli non è da ritrovarsi nel Vescovo, ma nel Canone biblico. Ribadendo in questo il concetto che chi vive secondo le Scritture è successore degli apostoli.
Cullman, altro teologo protestante, in risposta alla critica posta in merito al “criterio di apostolicità” portata ad alcuni degli scritti neo – testamentari, sempre l’articolo di Gounelle: “ritiene che stabilendo il canone la chiesa abbia compiuto un “atto d'umiltà” (“La Tradition”, Delachaux & Niestlé, 1953, p.47.) e di rinuncia. Essa ha pubblicamente ammesso di non detenere l'autorità dottrinale suprema o ultima; essa ha dichiarato la propria volontà di sottomettersi ai libri che, a suo giudizio, contengono la parola di Dio. In qualche modo essa ha rinunciato a esercitare un magistero ponendo la Bibbia come solo magistero. Secondo Cullmann i cattolici affermano e sottolineano a ragione che è stata la chiesa a fissare il cànone, ma ritiene che traggano da questa constatazione una conclusione errata. Lungi dall'affermare, con quel gesto, la propria autorità, la chiesa riconosce di non avere che un ruolo subordinato e secondario in materia di dottrina, di non essere lo strumento e il luogo della rivelazione divina. Essa confessa la propria debolezza, la propria incapacità di difendersi dalle deviazioni, dalle deformazioni e dagli sviluppi leggendari (...). “La chiesa - scrive Cullmann - ha riconosciuto di non essere in grado di controllare da sola le correnti diverse che pullulavano... essa ha sottoposto ogni tradizione a una norma superiore... fissata in determinati scritti che, soli, hanno valore canonico”. L'autorità dell'elenco dei libri del Nuovo Testamento si è imposta alla chiesa non appena questo è stato chiuso. “Stabilendo il principio di un cànone - dichiara Cullmann - ...la chiesa del secondo secolo... si è data una norma alla quale ha sottoposto la chiesa di tutti i secoli a venire”. Secondo Cullmann l'unica decisione infallibile presa dalla chiesa primitiva consiste nell'avere rinunciato a ogni pretesa di infallibilità ponendo la Bibbia al di sopra di sé stessa (5); essa ha affermato e proclamato di non possedere la verità, ma di trovare la verità nelle Scritture che le sono donate e che rendono testimonianza alla rivelazione”.


Quindi l'autorità alla fine che si riconosce al Canone, si fonda sulla sua apostolicità. La chiesa in questo ha riconosciuto un AUTORITA' ESTERNA AD ESSA, per questo i padri e la cristianità intera, compreso il Catechismo della CCR afferma che lo Spirito Santo stesso determinò quest'opera attraverso l'ispirazione degli scrittore del N.T, ed essa è riconosciuta essere un dogma di fede. Il Canone quindi trascende la Chiesa, qualsiasi affermazione che vada in direzione opposta, snatura il principio stesso di Canone, di qualcosa di definito, un unità di misura, qualcosa che doveva essere messa a parte dalla tradizione della chiesa perchè di natura e sostanza diversa. La tradizione smette di essere tale per diventare Canone, viene congelata per proteggere l'unicità di quel momento e situazione in cui viene preservato in maniera misteriosa e divina l’interezza del messaggio divino.
Vi è quindi, come è facile intuire una profonda divergenza in merito al confronto con l’Ecclesiologia cattolica ortodossa che viene spogliata di molte delle sue prerogative a scapito di un “laicato” molto più responsabilizzato. Come tutte le espressioni però di governo “democratiche” questa rimane però solo una visione di diritto ma mai concepita nei fatti, le diverse realtà hanno quindi cercato diverse espressioni per renderla attuabile.
La considerazione da farsi comunque intorno alla posizione di queste chiese e che è lungi dall’essere considerata statica e ben definita, come nell’ambito delle realtà cattoliche e ortodosse. Tutto questo è ancora oggetto di dibattito.

Il dott Paolo Ricca, esponente di rilievo nell’ambito delle Chiese protestanti storiche italiane non che professore della Facoltà Teologica Valdese esprime molto bene questi fermenti, e le difficoltà insite di questo cammino proprio in un suo intervento in un seminario a proposito del “ministero ordinato delle chiese della Riforma”.

“Nel Nuovo Testamento ci sono due grandi modelli ministeriali: quello delle Lettere Pastorali, cosiddetto tripartito (vescovo, presbitero, diacono), è quello dell’apostolo Paolo, che è il modello carismatico. Pensate a Efesini 4,4: i profeti, gli evangelisti, i dottori. La chiesa paolina è un corpo carismatico, nel quale c’è una pluralità, una fioritura di ministeri che lo Spirito Santo suscita nella comunità cristiana. Noi stiamo rincorrendo Paolo con tante difficoltà, cioè stiamo cercando di recuperare questa straordinaria ricchezza e varietà, la fioritura dei ministeri nella comunità cristiana”
L’intervento di Ricca è molto esplicato per comprendere la posizione del ministerio all’interno di queste Chiese, e sarà citato anche più avanti. Sarà comunque possibile visionarlo tra la documentazione allegata.
Inutile precisare, che le posizioni in materia di ecclesiologia sono nel mondo protestante abbastanza diversificate, le posizioni delle “chiese storiche”, Luterana, Riformata, Valdese, Metodista rispecchiano una concezione di tipo presbiteriano o congrezionalista, un attenta analisi in verità manifesta un ecclesiologia più composita, anche tra di loro.
Un documento della commissione ecumenica (CEC) del 1999 sul dibattito ecclesiologico nelle chiese storiche protestanti, afferma:

15. La sacra Scrittura manca di una ecclesiologia sistematica. Il tema della chiesa è affrontato per lo più attraverso una pluralità di immagini. Alcune sono immagini di stabilità nel tempo e nello spazio, altre di mobilità; alcune sono immagini più organiche, alcune altre accentuano il carattere relazionale della chiesa. Tali immagini non si escludono a vicenda. Esse interagiscono e molto spesso sostengono e chiariscono all’altra i rispettivi elementi di maggiore forza e di maggiore debolezza. Il presente testo, nel prendere in considerazione queste immagini, considera le Scritture come un tutto, in modo tale che nessuna immagine è ritenuta un riferimento isolato, ma ciascuna interpreta l’altra ed è interpretata dalle altre.

Anche il mondo evangelico non rispecchia un unità di vedute possiamo di fatti possiamo osservare che nella dichiarazione di fede evangelica i richiami ad un magistero ecclesiastico sono del tutto assenti, o vaghi; esplicativa perché molto recente in termini di tempo è la dichiarazione evangelica di “Cambridge” del 1996 dove di fronte alla “secolarizzazione” della fede evangelica vi è il forte richiamo alle cinque “sola” costitutive di quell’unità confessionale a cui il vocabolo “evangelico” richiama:

“…Nel passato questo termine (evangelico) serviva come legame per unire cristiani appartenenti a diverse chiese e tradizioni. L’evangelicalismo storico era di natura confessionale, in quanto abbracciava le verità essenziali del cristianesimo definite dai grandi concili ecumenici della chiesa. Oltre a ciò, gli evangelici condividevano l’eredità della Riforma protestante del XVI secolo, riassunta nei cinque “sola”

Sola Scriptura , Solo Christus, Solo Gratia, Sola Fide, Soli Deo Gloria…

Ancora troviamo ribadito con forza il supremo magistero della Scrittura:

“Riaffermiamo che la Scrittura è inerrante ed è la sola fonte di rivelazione scritta da Dio e l’unica a poter vincolare la coscienza…
…neghiamo che un qualche credo, concilio o individuo possa vincolare la coscienza di un cristiano…”

L’indicazione teologica che troviamo quindi espressa nella fede evangelica e in genere protestante e che qualsiasi riflessione in merito al magistero ecclesiastico, deve avvenire nel solco di queste affermazioni.
Questo lavoro nasce dal bisogno di una riflessione teologica attorno alla natura della chiesa e al ruolo del magistero, con le sue diverse formulazioni ecclesiologiche. Si riscontra dopo varie esperienze ed alcuni secoli di storia nel mondo protestante e in generale anche nell’ambiente evangelico, un rinnovato interesse.
L’esperienza odierna della Chiesa che è nata dalla riforma è simile a quella di un uomo che guardandosi in uno specchio si scopre in maniera diversa, magari non più nel pieno del suo vigore, ma con i tratti somatici della maturità, cosciente non solo della sua storia, ma che scopre anche una sua diversa personalità.
Si trova magari insoddisfatto di prospettive troppo spiritualizzate e anarchiche, e sembra riaffacciarsi ad una visione della Chiesa e della sua natura in una prospettiva più storica e di continuità, che pone proprio al centro il problema della sua natura e delle sue dinamiche.

Tutto questo viene però frenato in parte proprio dagli “strumenti teologici” che si hanno a disposizione, che non permettono oggi un confronto scritturale sereno.
Da un lato i protestanti dopo diversi secoli di storia avvertono il bisogno di rivalutare la tradizione nel solco di un ortodossia biblica ma dall’altro anche il bisogno di un approccio alla rivelazione scritturale liberata dall’estremizzazione della dottrina della “sola scrittura” che possa maggiormente rispettare gli equilibri scritturali in materia di fede.
Di fatto si può anche dire che in merito alla problematica ecclesiologica nata con la Riforma, che la CCR non ha mai saputo raccogliere la “critica storica” che veniva rivolta a livello teologico, proprio alla natura della sua ecclesiologia. Celebre lo sfogo di Lutero riportato all’interno del suo scritto apologetico rivolto alla “Nobiltà tedesca”.
Critica che nasceva, principalmente da uomini che primariamente erano cattolici e da intenti riformisti e che è sfociata in un profondo conflitto. .
La risposta a questa crisi è stata da parte della CCR di natura dogmatica; ha accelerato quel processo di irrigidimento teologico delle proprie asserzioni dando vita ed una serie di proposizioni conciliari, che ad un analisi anche superficiale dei testi, difficilmente non possono considerarsi forzati alla luce della tradizione Scritturale e patristica.
Sono numerose le pubblicazioni critiche riguardo le affermazioni di esclusività della CCR alcune sicuramente di notevole spessore, che hanno confutato la pretesa storica del fondamento di queste dottrine ma a tale riguardo la teologia cattolica continua ad ignorare ogni possibile stimolo.

Sorge quindi il bisogno di rivalutare la natura del magistero nella Chiesa in termini più consoni alla tradizione scritturale, ed in parte dove possibile ricercare il confronto dei Padri.
Il Nuovo testamento esprime un modello ecclesiologico? La testimonianza dei padri apostolici, Clemente, Ignazio, le didachè, Erma, Papia e Barnaba quanto ci possono riferire? Fino a quando possiamo trovare attendibile la documentazione patristica? Sappiamo anche in merito alla questione della tradizione che a partire da Ireneo e Tertulliamo e quindi delle prime profonde controversie eretiche iniziamo ad avere uno “sfaldamento” rispetto alla tradizione apostolica. Quanto la minaccia Ariana ha influito nell’ambito dei Concilio di Nicea ha l’irrigidimento della teologia ecclesistica, rispetto al modello apostolico?
Una prima grande difficoltà stranamente che si incontra nella riflessione teologica esaminando la questione del magistero è il non riuscire a pensare ad esso in termini diversi dal modello storico che ci viene proposto dalla tradizione dottrinale cattolica.
Il principio di una successione episcopale fondata sulle cattedre apostoliche, di una ininterrotta catena che abbia comunicato da un anello all’altro il diritto dignitario che Cristo ha trasmesso agli apostoli.
Questa visione ha dato nel tempo motivo a scontri molto accesi sulla polemica mai tramontata di quale sia la chiesa che abbia il diritto di nominarsi con il titolo di vera; “dibattito” nato già in seno alla riforma e sostenuto fortemente dai nostri padri; i quali affermavano che i veri scismatici non potevano essere loro, che anzi tale posizione di “apostasia” li rimetteva nell’ambito di una vera ortodossia e quindi nel solco della tradizione degli apostoli in cui si ponevano nel segno di una continuità, pensiamo a Melantone quando invia copia della Confessione di Augusta ai patriarchi ortodossi.
Si può oggi trovare una terza via? Possiamo oggi liberarci dai lacci delle polemiche, e dalla ricerca di una teologia apologetica vissuta solo in chiave anti – cattolica cercare un confronto sereno con la Scrittura e con la tradizione dei nostri padri cercando una comprensione che ci possa illuminare?

“Voglio partire da questa affermazione:

Il mistero del Dio unico e racchiuso nella pluralità della Trinità; L’unità della chiesa è racchiusa nella pluralità dei ministeri, così come è esposto nella lettera ai corinzi. Il mistero dell’unità della famiglia è racchiusa nei “due siano uno”.
Si può quindi arrivare a considerare la possibilità una Chiesa Santa, Cattolica, e Apostolica che non sia sorretta da una sola “cattedra”?
L’espressione Cattolica e Apostolica voluta dai padri nella sua formulazione richiama ogni cristiano
in primo luogo al riconoscimento della chiesa che trova il fondamento nella sua ministerialità.
Espressione da intendersi non in senso storico di continuità ma nel senso di “trasmissione” con la predicazione dei primi apostoli, che rivive nella attuale predicazione dei ministeri ed in particolare nel ministerio apostolico.

“Fratelli, io vi rammento l’Evangelo che vi ho annunziato, che voi ancora avete ricevuto, nel quale ancora state saldi, e mediante il quale siete salvati, se pur lo ritenete quale ve l’ho annunziato; a meno che non abbiate creduto invano. Poiché io v’ho prima di tutto trasmesso come l’ho ricevuto anch’io, che Cristo è morto per i nostri peccati… I°Cor 15. 1-3
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